mercoledì 6 gennaio 2010
Vendetta
vengo di notte, quando meno te lo aspetti. porto carbone su carbone per poter accendere il camino, fare arrosto quello stronzo di un babbo natale che mi ha rubato via tutta la fama e tutta la gloria. fama e gloria. io sorella o amante o puttana, prima che scappasse in lapponia, al freddo al gelo, a prendersi il meglio non il peggio della fine mentre a me lascia solo e sempre l'inizio inetto non ancora cresciuto abbastanza per guardarlo con lucrosa ingordigia di regali e dolciumi e (compleanni) e festività e pranzi e cene, gran galà per festeggiar. quante coccole, quante carezze, quante amichevoli affettuosità sparse su tutto il corpo prima che diventassi curva, una schiena sulla strada, un tornante o una rotatoria. quante frasi, d'amore di speranza di futuro insieme sempre e comunque in eterno felici e contenti, sotto le lenzuola calde ci sdraiavamo per ammirare i nostri sentimenti, prima che la faccia mi si deformasse in questo lancia razzi del mio naso, l'occhio un po' di traverso, nei porri verruche, escrescenze irregolari che mi maculano ora le guance, così tanto che anche se sorrido sembro sempre stretta in un ghigno quasi diabolico o maligno. mi additano, mi spernacchiano, quando mi vedono è solo per tirarmi dietro roba, vecchie cianfrusaglie ormai in disuso, superate sorpassate rimpiazzate dai regali che quel grassone vecchio barbuto ha portato solo pochi giorni prima. malvagia! hanno il coraggio di dire loro, seduti sotto ancora l'albero che aspettano solo me per disfare; perchè sono io, secondo loro, a rubare via ogni cosa, a saccheggiare il calendario, a colorare di nero ogni singolo giorno numerato, ad ingozzarmi di così tante feste da non lasciarne più nessuna per nessuno. oh, se sapessero davvero tutta la storia come la so io, come la racconterei volentieri a tutti quei bambini che fanno la fila nei supermercati nei centri commerciali per la strada per mettersi a sedere sulle ginocchia di quel pagliaccio che un tempo si vestiva di verde e che poi si è venduto così bene da farsi ricordare solo di rosso. fu la nostra prima vera grande litigata, con io che lo prendevo per la barba e giù botte infamate urla e calci; perchè secondo me stava svendendo non solo la magia che quel periodo gli aveva dato, ad occhi chiusi - è proprio vero che la fortuna è cieca - ma anche se stesso e tutti quei bambini che all'epoca si lo aspettavano sveglio con in mano biscotti e un bicchiere di latte, che credevano sul serio di poterlo vedere saettare nel cielo innevato di un tempo tra le stelle fisse della notte poco dopo esser sceso giù dal camino per consegnargli di nascosto i più belli e brillante dei suoi doni. chissà che fine hanno fatto quei fanciulli così innocenti ed indifesi, di fronte alle logiche imperscrutabili di quella fottuta nuova scienza che si chiama come il marketing: spazzati via senza alcun problema, messi sotto il tappeto come una qualsiasi altra cosa da nascondere. e io glielo dicevo, gli urlavo contro che per me era una puttana, era un vile stronzo di quelli di bassa lega, a cui importava solo l'apparire, 'fanculo tutto il resto e i buoni sentimenti. ricordo ancora come ingoiava merda, standosene zitto zitto buono in un angolino della nostra casa, il nostro tenero nido di amore segreto e perfetto. credevo sul serio di aver vinto qualcosa, di avergli fatto cambiare idea, di aver avuto finalmente ragione sulla sua voglia di mostrarsi; ed invece era solo l'ennesima calma prima di un'ennesima tempesta. e ancora litigate e screzi vari, così tanto che facevamo cadere l'intonaco del soffitto sotto forma di neve pura ad imbiancare le vallate. fino a quando non mi ha cacciata, lasciandomi con solo una scopa e poco altro. chiusa la porta in faccia, cambiata la serratura. prova tu, senza svenderti, senza cambiare, mi diceva al chiuso al caldo, a fare quello che faccio io. vedrai quanto ti ricorderanno quanto bene ti vorranno non appena invecchierai arrugginita quanto la strega cattiva confondendoti con qualcosa che c'è di male; se mai ancora ti ricorderanno.
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