non serve a nulla affondare il piede sul pedale dell'acceleratore a fondo in fondo più in fondo per andare veloce nei tratti diritti o rovesci di una strada percorsa ormai troppe volte. c'è fango bagnato di merda e di morte, puzza dolente ai bordi di pascoli selvaggi chiamati col nome di uno smog smodato di auto in panne ferme in folle ai semafori o irritate in fila con le mani battute a pugno su sterzi a forma di stella stretti contorti arricciati in forme nuove dettate dalla rabbia di una sciocca fugace incomprensione nell'agire con forza violenta che strappa quasi le unghie. quanto vorrei: poter aprire i cofani di questi cadaveri a cui abbiamo costruito sopra a modo di corazza vestiti a festa sgargianti di colori metallizzati; strappare i fili che uniscono le parti lontane con tubi annodati su se stessi in voli esemplari contorti a sfociare nel niente, vuoto pneumatico di spazi ingordi lasciati lì soltanto a prender posto, scusi è libero? no, occupato; oppure svitare le viti le croci appese sui muri, ancora: scagliare con forza verace le parti ignobili di questo nascondersi sotto lamiere scontorte scontente, neppure fossero coperte di lana flanella bugiarda, contro muri irsuti di peli appuntiti, i resti in schegge di sogni speranze desideri e virtù. reale sarebbe più reale soltanto partecipare di corsa in corsa a questa campestre di strette vedute in curve affannose snodate in tornanti, salite ripide rapide di cascate di fiumi corpi caduti scaduti in laghi gelati da tempo marciti. non è che fantasia quella che abbiamo, dritta solare come l'autostrada del mare, solo starnuti venduti per veri quando fingiamo di stare tranquilli nel bene e nel male per sempre felici e contenti tamponandoci il naso non appena gocciola macchiato di giallo e non di rosso furiose ventate fischiate dall'alto verso il basso, sonori richiami quasi di attenzione per potersi sentir dire salute e vederla andar via colante giù da un fazzoletto bagnato.
facciamo che di questo viaggio sono io il combustibile, fossile ancor prima di morire crepare tale e quale il muro contro il quale mi vado poi a schiantare. diciamo che mi fermo soltanto lontano, che i chilometri arricciati come i capelli annodati tra onde su onde spettinate non contan più nulla se non la distanza, vicina lontana, lo spazio di mezzo nel nostro intramezzo, quel tanto che basta da non farci toccare parlare sentire mi ascolti? ti ascolto. facciamo che di me di te di tutti di noi ci dimentichiamo per anni per mesi in eterno di fare revisioni sulle frustazioni comuni che ci prendono in modo violento su strade statali senza pedaggio. fanculo l'onore la forma e l'aspetto, al diavolo il rumore gracchiante di quel cigolio di frusta con cinghie finite, il boato di tosse perenne profonda ogni volta che parto. continuiamo così, a farci del male, fino a quando avremo pneumatici gonfi di ebrezza in ventimila atmosfere; andiamo avanti di passo lento e pacato, lasciandici dietro soltanto il passato.
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