fotogenico stile omogeneizzati scaduti. febbre gialla agli angoli della bocca. labbra screpolate e ferite vive dove danzano le mosche. ovuli caldi pulsanti in ritmi di battiti cardiaci ai primi istanti di vita. vagiti. urla. pianti. gli insetti depongono le uova in luoghi accoglienti, caldi, ricchi di pus vischioso, nettare nutriente per i neonati non appena dischiusi. sento lo zampettare frenetico della prima fame, quella che prende non appena ti rendi conto di avere una bocca per mordere, uno stomaco per digerire; quando ti accorgi di aver bisogno di carburante per continuare a muoverti, carbone da buttare nella fucina dei muscoli.
se faccio silenzio e chiudo gli occhi, sposto l'attenzione dal mio esterno al loro esterno, sento le ali dei piccoli muoversi veloce nel tentativo di prendere il volo. movimenti impacciati ancora privi di esperienza. sbattano quelle pelli sotti fatte di niente, di calli non ancora formati, schizzano via per lasciarmi malato, bruciato dal ghiaccio, punito dal freddo. per questo non parlo, non muovo, non sento, non provo lo scotto del gelo pungente.
ti incrocio nel corridoio, sei vestita di giada: tessuti, intrecci, stelle filanti. mi dici: non parli. mi chiedi: cos'è che non va? mi misuri la febbre, accosti la bocca sulla mia fronte. mi dici: non bruci, non parli. mi chiedi: cos'è che non va? chiudo gli occhi una volta. li riapro. ti vedo. li chiudo di nuovo. mi dicesti una volta: inventiamoci un linguaggio. mi dicesti: non una lingua. ti chiesi: cosa di preciso? dei segnali, dei codici, dei movimenti. sbattiamo le palpebre: una volta per si, due volte per no. chiudo gli occhi. li riapro. ti vedo. chiudo gli occhi di nuovo. quante combinazioni di si e di no per dire: tutto. linguaggio binario, vero falso. mi misuri la febbre, appoggi le labbra sulla mia bocca. chiudo gli occhi. li chiudo. non li riapro. chiudo gli occhi, guardo il buio. chiudo gli occhi e ti sento, ti ascolto. ti rispondo.
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