In breve tempo Amanda era riuscita a trascinarlo lontano dall’immagine dell’uomo che lui pensava di voler essere.
Faceva sempre così: si insinuava tra la sua paura e al sua parte migliore proponendogli cose a cui era difficile resistere.
Il ricordo di quel momento, di averla vista così, gli spinse parte del sangue verso sud, lo fece immergere a sondare le sue profondità. Anche se più che piacergli, era qualcosa che non riusciva a smettere di aver voglia di rifare. C’erano molte cose che non riusciva a smettere di aver voglia di rifare.
Quando andava a letto presto era solo per il desiderio di stare solo con se stesso, solo quello.
La realtà è che è finita male. Malissimo. All’inizio ridevamo della gente che non conoscevamo e poi, visto che eravamo così felici e a nostro agio, abbiamo cominciato a ridere l’un dell’altra e abbiamo visto che eravamo in mani sicure, perché non facevamo sul serio. Ma poi una frecciatina tira l’altra, una ferita tira l’altra e allora finivamo per chiederci scusa e ci scambiavamo gesti di tenerezza, ma era quel genere di tenerezza che senti solo quando ti sei fatto male. Non lo facevamo apposta: nessuno voleva veramente attaccare, ci stavamo solo difendendo.
Ma non siamo riusciti a fermarci. E quindi ora è questo che siamo : uno specchio che riflette una brutta immagine dell’altro. Non qualcosa di più bello, non qualcosa di più delicato, non qualcosa che ha a che fare con l’amore.
Prima di cominciare aveva avuto paura, ma la paura dura poco, poi passa, diventa qualcos’altro: stavolta era esplosa per fare posto al nulla, un bagliore bianco, caldo, una meravigliosa fonte di tranquillità. E infatti era così felice che quella giornata lo stava lasciando senza fiato.
La signora Dickson non era bella e per questo Ronald si sforzava al massimo di essere gentile con lei, perché la gente brutta è sempre triste e questa era una cosa orribile.
Il fatto di restare gli metteva un po’ d’ansia, un’ansia che premeva ai bordi della felicità, cercava di farsi largo, ma se Ronald si concentrava diventava meno forte, scompariva.
È difficile comprare cose da mangiare quando non si ha appetito.
Ci vorrebbe tanto poco per rendere più facile la vita del prossimo: cortesia, gentilezza, scampoli di redenzione, magari anche una volta al mese.
Gli aveva sussurrato: “Hai presente quelli come noi? La gente come noi? Siamo comi i cavalli. È così. Siamo sensibili al tatto. Se uno ci tocca, se uno ci picchia, addirittura, noi ci avviciniamo ancora di più per sentire meglio il contatto. Ci piace toccare ed essere toccati. Non saremmo quelli che siamo, senza.” Tom non capì bene cosa volesse dire Barker, ma da allora aveva imparato. Ed era vero. Era sensibile al tatto. Non era lui, senza.
Quando lui non c’è la forma dei suoi desideri più recenti spicca visibilmente sul mio corpo.
Chiunque riesce a concentrarsi, a rimanere vigile per quattro giorni e tre notti quando ha la costante compagnia di un corpo del quale ha imparato a fare senza. Non riesco mai a saziarmi delle cose che so che presto mi mancheranno.
E ricordo perfettamente, con chiarezza assoluta, il momento in cui il dolore della sua presenza superò di gran lunga quello del fatto che lui doveva lasciarmi.
Ora a volte June si svegliava e sentiva la sua lingua in bocca, le sembrava di stringergli la testa con una tenerezza che in realtà fra di loro non c’era mai stata. Non si trattava di un ricordo: era più che altro una presa in giro.
Certo che si stava divertendo, e forse anche tanto. Non aveva motivo di dubitarne: lui era Freddie Williamson, figlio di Freddie Williamson, che a sua volta era figlio di un altro accidenti di Freddie Williamnson, parte di una stirpe infinita di omonimi disperatamente privi di fantasia. Era facile immaginare il clan al completo, nelle sere d’inverno, che leggeva ad alta voce la lista degli antenati elencata nella bibbia di famiglia come un unico lungo, triste balbettio battesimale.
Un viso così amareggiato ha bisogno di un po’ di dolcezza.
Danny si chiese dov’era: dov’era lui davvero. Qual era la parte del corpo in cui sentiva di trovarsi realmente.
Sono cose che si sanno, solo uno non si sofferma mai a pensarci. Ma se lo domandi a qualcuno, la risposta è sempre: “Io sono quassù, più o meno da queste parti”. Sei rinchiuso in una specie di piccola capsula dietro gli occhi, sempre affaccendato e sempre rivolto nella direzione dello sguardo. Più tranquillo quando gli occhi sono chiusi, ma sempre e comunque lì dentro, stipato e curvo, in un posto indefinibile dietro i seni nasali e sopra il palato: un inquilino invisibile.
Riesci a provare sensazioni con tutto il corpo, sei cosciente che appartiene a te e solo a te, ma tu, o meglio il luogo in cui tu ti trovi, non si estende fino agli arti, svanisce prima. Forse percepisci una forma di attenzione nelle mani, nel pene, ma il vero luogo in cui i trovi è nella testa, è quello il posto dove vivi.
Alla gente non si dovrebbe dire nulla: soprattutto nulla dell’amore.
Siamo gli unici veri amici che abbiamo e come coppia siamo una fonte di continua delusione reciproca, e spesso veniamo presi da questi brevi, tristi pause di riflessione. Dopo le quali ci abbracciamo e ci prendiamo un po’ per mano perché ci facciamo pena a vicenda, ma la compassione non è la stessa cosa dell’amore.
E sembra quasi impossibile che tanta attenzione possa essere risucchiata dalla curva delle spalle di una persona, dalla sua testa vista dall’alto, il rumore dei suoi passi, il sole di marzo che entra da una finestra sporca e sposta a sud e indugia sui suoi capelli, esaltandone la forma e la luminosità.
Io mi sono leccato le labbra – Elizabeth ha il mio sapore, lo stesso – e lei mi si è avvicinata, per vedere la sera che inizia dietro il vetro delle finestre.
E io ho passato abbastanza tempo lì dentro per pensare che, se lei non amava suo marito e aveva cominciato questa storia con me che però non voleva portare fino in fondo, forse io avevo aperto una porta per lei ma a entrarci dentro era stata tutta un’altra persona.
Questo è l’amore. Questo sentimento terribile. La consapevolezza che preferirei vederla piuttosto che essere contento. Anche quello che siamo, per poco che sia, è quasi abbastanza. Questo è l’amore.
A. L. Kennedy
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