martedì 4 dicembre 2012
Non mi chiamo Ted
Lui non aveva difficoltà a parlare in pubblico. Lo aveva fatto già altre volte quando lavorava per una grossa multinazionale. All’epoca si era trovato a condurre interminabili riunioni con alti dirigenti, a volte anche con ricchissimi investitori stranieri. Aveva parlato in italiano, inglese, e in un paio di occasioni pure in un traballante tedesco scolastico, illustrando progetti altamente complessi di cui era stato nominato coordinatore. Non aveva mai avuto nessun tipo di problema. Tutto era sempre filato liscio senza intoppi. Neppure il tanto temuto (dai suoi colleghi) spazio per le domande e i chiarimenti a fine presentazione, durante il quale uno qualsiasi dei suoi ascoltatori, pure il tizio cinese seduto in un angolo che una volta aveva assistito alla sua esposizione impeccabile senza apparentemente sbattere mai le palpebre, poteva alzare la mano e chiedere delucidazioni particolari su determinati punti risultati magari un po’ ostici. Non era mai stato messo in difficoltà. Aveva sempre mantenuto le redini della situazione ben strette in mano, senza sbandare nelle risposte, con voce calma, sicura, non balbettante. Era stato ogni volta padrone dell’argomento, conoscendolo alla perfezione in tutte le diramazioni possibili lungo le quali le domande potevano addentrarsi. Non c’era modo che lui potesse bloccarsi anche solo per una manciata di secondi, con la faccia sospesa in un’espressione di pausa, chiara maschera indossata per nascondere la ricerca di una scusa o di un po’ di fumo dietro il quale nascondersi, un diversivo per uscire dall’impaccio, e riprendere a parlare poi con frasi incerte, a metà strada tra un profondo tecnicismo e un insipido senso dell’umorismo. No. Lui ascoltava con attenzione ogni tipo di quesito, sia il più stupido che il più complesso, senza mai accennare alcuna reazione facciale. Guardava negli occhi la persona alzatasi per prendere la parola, senza tradire insicurezza o paura. Appena questa finiva di formulare la propria domanda, quando metteva il punto interrogativo alla fine della sua richiesta e tornava a sedersi al suo posto, lui iniziava subito a risponderle, cercando di essere il più chiaro possibile. Non aveva bisogno di tempo per costruirsi una risposta. La risposta gli nasceva in testa già mentre ascoltava la domanda. In un certo senso si poteva dire fosse la domanda a entrare dentro di lui attraverso le orecchie e andarsi a cercare da sola la propria risposta.
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