Rilanciare un franchising pensavo fosse un’operazione più dettagliata e profonda del semplice cambio del protagonista. Dopo tre onorati film Matt Damon lascia l’identità di Jason Bourne e permette ai produttori di usare delle sue foto per collegare questo nuovo Legacy al terzo Bourne, nonché di usufruire di un titolo che richiami le avventure del suo agente segreto. Al suo posto, o per meglio dire in vece sua, viene chiamato Jeremy Renner, che qui supera se stesso sfoderando una magnifica espressione con gli occhiali. Al suo fianco la pallida ricercatrice Rachel Weisz, che qui in pratica recita con la versione giovane di suo marito nella vita reale (Daniel Craig). Completano il cast alcuni attori di spessore in ruoli di contorno, come per esempio un leggermente imbiancato Edward Norton e un fugace Albert Finney.
Il film si snoda per più di due ore in inseguimenti e combattimenti, andando a indicare nella prima parte un’intricata rete di progetti segreti che il buon Norton cerca di fare capire al suo interlocutore (e agli spettatori) con un paragone medico (con il suolo risultato di confondere e basta), mentre nella seconda si esprime in una più primitiva caccia all’uomo.
La pellicola si lascia vedere e tiene abbastanza alta la tensione, sorvolando su alcuni aspetti introdotti e poi lasciati morire senza alcuna spiegazione (o una spiegazione eccessivamente rapida), ma quel che davvero manca a questo nuovo Bourne non Bourne è il fattore novità: la trama di fondo, il motivo, e tutto il suo svolgimento sono uguali al primo film di Matt Damon. Non c’è un aspetto innovativo, un qualcosa che non ricalchi le avventure del primo capitolo della serie madre. Per questo si arriva alla fine e si ha la sensazione di sapere in anticipo cosa succederà all’inizio del prossimo possibile film.
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