Con il passare degli anni il Palazzo Blu di Pisa si sta sempre più imponendo come punto di riferimento delle mostre pittoriche in Toscana. Situato proprio sulla riva dell’Arno, nella parte di città che a Firenze appunto si chiamerebbe “di là d’Arno”, vista la lontananza in questo caso da Piazza dei Miracoli, il palazzo spicca per il colore pastello delle sue pareti, una sfumatura che ricorda più un turchese che non il blu del nome, non certo per la forma architettonica. Edificio di tre piani, poco più alto di quelli circostanti, con finestre regolari poste in cinque colonne, ingresso principale formato da un portone contorniato da un muro in pietra a vista, va a formare il paesaggio che a suo tempo Leopardi dichiarò di preferire a quello visibile nei pressi di Firenze lungo le rive dello stesso fiume: un paesaggio piatto, nell’estensione in altezza del termine, complice soprattutto la vicinanza al mare, che invita lo sguardo a perdersi verso l’orizzonte, cosa che magari nel capoluogo di regione non può avvenire per questioni di spazio e di leggere sporgenze tettoniche (basti pensare alla collina del piazzale Michelangelo).
Con un programma che ogni anno promette un nome noto da proporre al pubblico, il Palazzo Blu ha finora offerto una panoramica abbastanza ampia sugli artisti europei del ventesimo secolo. Iniziando con Chagall (mostra fantastica che inaugurò la serie di esposizioni), passando per Mirò, Picasso, si arriva ora a Kandinsky, in una maratona di opere più o meno astratte diluita nel tempo. Ma se la mostra sul Mediterraneo vista con gli occhi azzurri di Chagall proponeva dipinti tutti quanti dell’artista russo poi naturalizzato francese, la risposta odierna della visione della Russia di inizio novecento non si avvale delle sole opere di Kandinsky, ma anche di alcuni lavori di suoi colleghi del tempo e di altri non-solo-pittori dell’epoca. Basti pensare, per spiegare il termine non-solo-pittori che l’opera a mio avviso più bella (ma ovviamente qui si entra nell’ambito dei gusti personali e quindi in una bellezza del tutto soggettiva) esposta nella mostra risiede nel piccolo spazio ritagliato per Arnold Schönberg, compositore austriaco amico di Kandinsky. L’opera è “Alleanza” e si può dividere in due parti distinte tracciando una linea verticale immaginaria al centro del quadro: se la parte sinistra appare ben marcata e la figura della mano che ritrae rimane nei propri contorni, la parte di destra invece sfuma in una affascinate cascata al contrario, con lo sguardo che passa dalla mano di sinistra a quella di destra e risale verso l’alto in una miscela indefinita di sfumature di colore, dove la forma della mano e del braccio di questa parte travalica le sembianze fisiche e si tuffa in un mare leggermente mosso di pennellate precise.
Quel che rimane di Kandinsky, dopo avere visto “Alleanza”, è comunque una mostra che indaga con tutti i mezzi a propria disposizione l’animo del pittore russo attraverso il suo modo di vedere il paesaggio che lo circondava, e le leggende della cultura sovietica, e il suo vivere l’arte, il suo modo di interpretarla non solo facendola ma anche cercando di spiegarla, agli altri ma molto probabilmente anche a se stesso. Lo si può capire dalla frasi scritte sui muri del Palazzo e che accompagnano il visitatore nel percorso espositivo, quali per esempio:
“Sentivo a volte il chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano.”
Oppure la calzante soluzione del rapporto tra talento e artista:
“Il cavallo porta il cavaliere con forza e velocità, ma il cavaliere guida il cavallo. Il talento trascina l’artista con forza e rapidità verso grandi altezze, ma l’artista conduce il suo talento… L’artista deve imparare a conoscere sempre di più le sue doti; come un abile uomo d’affari, non deve lasciarne la più piccola parte dimenticata o inutilizzata, ma, al contrario deve sfruttarle, svilupparle sino al limite delle possibilità che esse gli offrono…”
Proprio per questo, una volta usciti dal Palazzo Blu, non si avrà nostalgia dei quadri, dei dipinti, delle opere; non si avrà la sensazione di tornare all’aperto dopo essere stati dentro una mostra, quanto piuttosto di uscire, sì, ma non da un palazzo, non da un’esposizione, quanto piuttosto dalla testa di Kandinsky stesso. Hai visto con i suoi occhi, hai letto i suoi pensieri, e hai cercato di capire l’arte come lui ha tentato nella sua vita.
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