Mi domando quando questa primavera sia iniziata, in punta di piedi, senza far rumore, cogliendoci entrambi di sorpresa, impreparati, privi di alcuna difesa; e mi meraviglio, ora, con quanta rapida facilità sia trascorsa: un battito di ciglia sul cielo terso, noi due sdraiati su un prato, con le mani incrociate dietro la testa, il profumo dell'erba tagliata di fresco, a dare un nome alle nuvole. Rimanevamo nel pomeriggio privi di pensieri, sorridenti, l'uno accanto all'altra, mentre i bambini giocavano tutto intorno: le loro risa come suoni dei grilli e le cicale, il cinguettio degli uccelli a planare sui nostri silenzi intensi: non una parola, attenti a non rompere quell'equilibrio sensuale, intenti a fermare il tempo con le mani, i baci, le carezze, ed ogni altro mezzo possibile. Chiamavamo i minuti con i palpiti delle passioni, alle ore davamo come aria i nostri sospiri; e i giorni, le settimane, i mesi, con gli occhi appesi, bagnati quel tanto di felicità del nostro dormir piano.
Ora che invece le mani si muovono al rallentatore, passando lente su ogni singolo ricordo, mi chiedo cosa siamo, noi, presi singolarmente: se stagioni, o inverni; prede, o predatori? Mi sono seduto su una panchina, invece di sdraiarmi in mezzo al prato. Ho guardato i nostri fantasmi rincorrersi, afferrarmi e placcarsi. Ho dato un nome ai nostri estremi, e i nostri estremi si chiamano Marlene.
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