martedì 19 maggio 2009
La città morta
Viviamo in una città morta, dicevi. Le nostre rampe di lancio emozionali sono dipinte di bianco e giallo, su sfondo nero, catrame ammassato su scomodi dossi, a distruggere le sospensioni, le ibernazioni momentanee dei nostri umori. Viviamo in una città morta, dicevi. Il silenzio sibila così tanto da riempire l'aria, gareggia con i nostri discorsi socchiusi in labbra serrate, strette così tanto da unire i denti e saldare la bocca: muguliamo per farci capire, linguaggio muto e segreto, un linguaggio cifrato che non ha bisogno di traduzioni, basta guardare la linea storgersi sotto il naso. Viviamo in una città morta, dicevi. Il cielo di una notte si perdeva di tempo, maturava in luccichii lontani anni luce, tra galassie disperse nelle nostre fantasie; e le stelle cadenti che ci cadevano sempre addosso, a bagnarci di luce quando invece volevamo soltanto il buio. Viviamo in una città morta, dicevi. Ci basta una candela per bruciare via l'opaca staticità dei nostri eventi, muovendoci piano in questo prato soffice e pungente; la cera colante tra le nostre gambe umide, ferme e aperte, speranze digonali a tappare l'ebbra lucidità. Viviamo in una città morta, dicevi. E' servito a poco scavare la terra in tunnel circolari, trovare gli spazi per nascondere e velocizzare il passaggio di stato, tra gassoso a solido, come la pioggia acida della nostra infanzia, quella pioggia che ci bruciava i vestiti addosso, lasciandoci ustioni dolenti e rosse, accaldate a strati sulle braccia: con leggiadra svogliatezza perdevamo la pelle di minuto in minuti, ci andava via come panni bagnati al sole, e le ossa gialle, dal midollo sempre più poroso, si muovevano arruffando l'aria intorno. Viviamo in una città morta, dicevi. I barbari ci attendono al confine, stanno per entrare dentro il nostro territorio per razziare e ammazzare, uccidere i bambini, stuprare le donne, sacrificare le vergini, e trasformare i nostri uomini in loro eunuchi; i barbari potrebbero portare nuova linfa, sottrarre il terreno sotto i nostri piedi e farci finalmente volare, cadere nel vuoto fino ad arrivare nel magma più fuso, rovente di terremoti e distorsioni terresti. Viviamo in una città morta, diveci, fatta di varianti che non riusciamo a metabilizzare, a fare nostre, e quando finalmente riusciamo a capirle sono già di nuovo cambiate. Viviamo in una città morta, dicevi, morta, morta, morta morta morta mortamortamortamortamorta. Ci sono solo strade deserte e accaldate dal sole che rimbalza sull'asfalto, i marciapiedi vuoti e le sirene delle ambulanze che non suonano neppure più. L'ospedale non sappiamo più a cosa possa servire, i semafori lampeggiano in eterno l'arancione sociale, e il fatto che siamo sull'orlo del fallimento forse è un sintomo che non dovremmo ignorare. Viviamo in una città morta, e l'unica cosa di cui avremmo davvero bisogno sarebbe una rivoluzione, una rivoluzione all'irrazionale immobilità che ci circonda, e ci ferma, immobilizza. Avvertimi, dicevi, quando scoppierà questa benedetta rivoluzione.
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