giovedì 3 marzo 2011

Pausa

Per un po' di tempo non ho più visto né sentito il mio io. Eravamo d'accordo di prenderci una pausa, di trovare degli spazi propri, avere del tempo solo per noi. Lo tranquillizzai dicendogli che non stavo affatto avendo dei ripensamenti, non avevo deciso di accantonare tutto e fare finta non fosse successo niente. Nell'ultimo periodo ogni cosa era accaduta in modo vorticoso, senza alcun freno o rallentamento. Dovevamo tirare un po' il fiato, entrambi. Anche se non era successo niente di particolare, in fondo non ci eravamo mossi di un millimetro, né avevamo fatto seri programmi per iniziare il viaggio; ma andando avanti a testa bassa, senza ordine, ogni sera a scontrarci e a buttare giù idee su idee in modo confusionario, dovevamo trovare il modo di mettere in ordine tutto la confusione che avevamo buttato fuori. Rischiavamo di costruire un qualcosa fatto solo e soltanto di semplice entusiasmo, la prospettiva a dire la verità non mi allettava minimamente. Per partire l'entusiasmo è ottimo, ma non lo si può usare come fondamenta, non ci si può costruire sopra qualcosa: non appena finisce, tutto quello che vi è sopra crolla e non vi rimane più niente.
Dovevamo prenderci un po' di tempo per noi stessi, divisi, ognuno per conto suo. Riordinare le idee, chiarirsi in privato alcuni dubbi, e dopo confrontarci. Seduti a un tavolo, uno di fronte all'altro, avremmo alla fine esposto entrambi ciò che avevamo pensato, dovendo poi tentare di incastrare le nostre idee le une alle altre, un po' come si fa con i pezzi di un grosso puzzle. Fino ad allora avevo tempo libero a volontà.
Nel pomeriggio quindi ho riordinato un po' casa e poi, visto che ormai era il venti dicembre, sono uscito per cercare di fare i primi regali. All'inizio ho vagato senza molte idee per i negozi del centro. Guardavo le vetrine con le mani nelle tasche del giaccone, valutando gli articoli esposti, e solo se ne avevo davvero voglia entravo guardando spaesato ciò che il negozio mi offriva. In questo modo ho visitato tre negozi di vestiti, una profumeria, un negozio di scarpe e uno di musica, senza ovviamente trovare niente capace di convincermi del tutto. Quando il freddo ha iniziato a farsi più pungente ho preso l'auto e sono andato a rinchiudermi nel primo centro commerciale che ho incontrato per la strada.
Ho fatto il giro del centro commerciale per almeno tre volte, poi mi sono inchiodato davanti alla vetrina di una gioielleria. Sui vari scaffali c'erano braccialetti di ogni tipo, d'oro e d'argento, di quelli tutti luccicanti e di quelli opachi; c'erano orecchini a forma di angioletto, a goccia, e quelli a pendente che potevano arrivare fino alla spalla; c'erano collane, da stringere stretta attorno al collo, oppure da lasciare scendere fino al petto, con il pendente e senza pendente; più una serie infinita di anelli e anelletti. La vetrina quasi faceva luce da quanto oro vi era adagiato dentro. Sembrava di essere davanti al forziere di un tesoro pirata. Nel negozio una commessa dai capelli biondi ossigenati, con perfetto tailer nero ed elegante, ammiccava maliziosa verso di me. Metteva in ordine oggetti che non avevano bisogno di essere ordinati, impacchettava scatole vuote nel tentativo di trovare il pacchetto perfetto per le feste di natale, poi disfaceva il sacchetto e ripartiva da capo. Di tanto in tanto alzava e mi guardava, per poi sorridere di un sorriso velato mentre abbassava di nuovo lo sguardo verso il bancone e poi verso l'ingresso del negozio. Mi stava in pratica spingendo con lo sguardo a entrare.
Di fronte alla gioielleria, dall'altra parte del grande corridoio laterale che unisce le due entrate del centro commerciale, una piccola libreria sembrava essere sull'orlo della chiusura. La gente ci entrava a manciate di due o tre alla volta, ma difficilmente ne esciva con qualcosa in mano. Lascio la bionda svampita a disfare per l'ennesima volta l'ennesima variante di pacco di natale ed entro nella libreria.
Il locale come si vedeva anche da fuori non è particolarmente grande, un buco se paragonato agli altri negozi presenti in quel posto. Nonostante questo ci sono libri a volontà, di tutti i tipi e di tutti i generi, ammucchiati su scaffali colmi, impilati in improbabili torri sparse un po' qua e un po' là sul pavimento, su bassi mobili posizionati in modo da dividere lo spazio in tre navate, come in una chiesa. I libri sembrano pure arrampicarsi sulle pareti per trovare un minimo di spazio, se non fosse per la forza di gravità starebbero pure sul soffitto, e dovresti saltare in alto per prenderli e guardarli. Il primo impatto è di puro caos, di anarchia di posizione, di disordine esasperato e portato all'estremo; ma dopo poco la sensazione di incuria se ne va senza troppi problemi e il posto comincia a piacermi. Il fatto di non vedere i muri, di usare le copertine come una specie di carta da parati, mi pare tutto ad un tratto un'idea così geniale da meritare il nobel per la narrativa.
Cammino tranquillo, in mezzo a questo mondo fatto di pagine, in pace come non mi era mai successo durante questo pomeriggio di compere. Per la prima volta da quando ho deciso di fare i regali mi sento a casa, non uno straniero in una città straniera. In ogni negozio dove sono entrato avevo questa sensazione di precarietà, come se mi trovassi in un posto dove non avevo il permesso di restare. In qualsiasi momento chiunque poteva avvicinarmi e dirmi che me ne dovevo andare. In questa libreria invece mi pare di essere proprio a casa, nel mio habitat naturale. Prendo qualche volume, lo sfoglio, riassaporo la bellezza di leggere le prime righe di ogni racconto. L'odore delle pagine e quell'inchiostro leggero che forma le lettere.

martedì 1 marzo 2011

Febbraio 2011


"La realtà è quella cosa che, anche quando smetti di crederci, non sparisce."

Philip K. Dick