venerdì 30 marzo 2012

Questa è la mia festa

questa è la mia festa questo è il mio vestito nuovo
questo è il mio martini cocktail e non sarà il solo
e faccio finta di essere convinta di meritarmi un uomo come te
e faccio finta di essere convinta di non avere più nessuna colpa
questa è la mia guerra e questa qui è la mia bandiera
la felicità è una cosa troppo seria
e io non posso più accettare tutto quanto
come facevo un tempo quando bluffavo meglio
e faccio finta di essere convinta di meritarmi un uomo come te
e faccio finta di essere convinta di non avere più nessuna colpa
e faccio finta di essere convinta che l’Universo aspetti solo me
di tutto questo schifo della mia giovinezza
delle medicine posso fare senza
di tutto l’universo delle cose mai dette e dei polsi aperti
amore a me non me ne frega niente
mi è tutto indifferente a me non me ne frega niente
mi è tutto indifferente

Performed by Maria Antonietta

mercoledì 28 marzo 2012

This must be the place


This must be the place degli Arcade Fire. No: This must be the place dei Talking Heads. This must be the place di Paolo Sorrentino, perché l'Italia è Sorrentino e non Muccini, al cinema, per gli americani, deve essere chiaro. Un road movie con Sean Penn travestito e trucato da un Robert Smith depresso e perso, parte dalle strade di un'Irlanda ricca (Dublino per la precisione) e via mare (il terrore di prendere l'aereo, la malattia del padre, il tempo che ticchetta, l'arrivo ormai in ritardo, il padre morto) arriva fino in America, dove la pellicola, così come il suo protagonista, intrapenderà un percorso attraverso di essa per giungere alla fine a un deserto bianco con in mezzo solo una misera roulotte: il vuoto che il nazismo si è costruito attorno, con le proprie atrocità, e al centro il nucleo duro e malvagio, rinsecchito per il passare del tempo ma pur sempre ben presente e reale. Lungo il tragitto si incontreranno vari personaggi, ognuno dei quali possessore di una parte di anello della catena, passo dopo passo per arrivare a destinazione e liberarsi da un peso che per tutta la durata del film, e anche prima, schiacciava a terra, rallentava il passo e rendeva apatici, fino a tornare a casa, dopo tanto, come una persona nuova.
Mirabile sopra ogni cosa la scena del concerto, con giochi visivi magistrali ai quali difficilmente l'occhio e la mente riescono a stare al passo, così come tutta la parte della nipote/cameriera/madre/vedova.
This must be the place, un dipinto toccante, a tratti tenero, a tratti duro - ma non in modo spigoloso a fare male fisicamente - e reale fino al profondo. This must be the place, di Sorrentino. Dimenticatevi di Muccino, vi prego.

lunedì 26 marzo 2012

In un paese di madri

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Durante le sedute, mentre ascoltava attenta, Claire aveva spesso l’impressione che non le rimanesse niente. prendendo appunti, invece, sentiva di studiare quanto le veniva detto, di renderlo tangibile.

Ogni volta che il passato incrociava il presente, Claire diventa nervosa. La vedeva tutto il giorno che cos’era la memoria per la gente: era il posto in cui si cristallizzavano le brutte sensazioni, i peggiori momenti di una vita, ripassati tante di quelle volte che diventavano lisci e duri come calli o vetri levigati dal mare.

“Mi sento male” disse Adam, mentre lei stava per uscire.
“Dormi” gli sussurrò Claire.
“Mi viene da vomitare.”
“Chiudi gli occhi e pensa che giornata stupenda sarà domani.”
Chiuse la porta piano. Adam scoppiò a piangere. Cosa sarebbe successo se lei avesse riaperto la porta? A quarant’anni suo figlio avrebbe abitato ancora in casa con lei. Se la lasciava chiusa, sarebbe diventato un pluriomicida.

Non che Jody fosse stata internata, chiusa a chiave dietro una porta con su scritto SOLO USCITA DI SICUREZZA. Era una normalissima ventiquattrenne che era andata in terapia per più di metà della sua vita e che quindi non sarebbe mai più stata normale, non nel più profondo senso della parola.

“Ma perché ti viene così spesso mal di gola?” ripeté lui.
A ripensarci, Jody si chiedeva cosa si aspettava che gli rispondesse: Be’, vede, mia madre non mi ha allattata al seno, e considerato che la gola e la bocca sono un’importante area di contatto fra madre e figlia, suppongo si possa dire che un indolenzimento o un’infiammazione della zona negli anni successivi alla prima infanzia possano essere il risultato dell’intimità mancata.

Quando sei piccola guardi la faccia di tua madre, ed è la tua faccia. Lei ti sorride e in quel momento lei è te. Quando cresci un po’, tu ricambi il sorriso e in qualche modo il sorriso sul tuo viso è il suo sorriso, sei tu che stai diventando lei.

Passarono l’ora quasi completamente in silenzio, assorbendo tutto, registrando, per non rischiare di rovinare quel momento con le parole sbagliate.

I Goodman erano di quelle persone basse e rotondette che sembrava che un tempo fossero state più alte ma poi qualcosa, magari un incidente, le avesse schiacciate lentamente.

Ogni volta che piaci a qualcuno, per istinto anche quel qualcuno ti piace.

Era semplice e complicato come innamorarsi e poi disamorarsi. Era come il momento quando, dopo dieci anni di matrimoni, capisci che è finita. Ma in un matrimonio puoi restare, puoi distrarti facendo altro, allargare la casa, fare un viaggio di piacere intorno al mondo, avere una storia extraconiugale. In analisi c’erano solo quei cinquanta minuti in quella stanza.

A. M. Homes

venerdì 23 marzo 2012

The Lucky One

A dream of togetherness
Turned into a brighter mess
A faint sign my spoken best
Now, now

Make way for the simple hours
No finding the time its ours
A fate or it's a desire
I know

So I was the lucky one
Reading letters, not writing them
Taking pictures of anyone
I know

So let the sunshine
So let the sunshine
So let the sunshine let it come
To show us that tomorrow is eventual
We know it when the day is done

So let the sunshine
So let the sunshine
So let the sunshine let it come
To show us that tomorrow is eventual
We know it when the day is done

So let the sunshine
So let the sunshine
So let the sunshine let it come
To show us that tomorrow is eventual
We know it when the day is done

So let the sunshine
So let the sunshine
So let the sunshine let it come
To show us that tomorrow is eventual
We know it when the day is done

Performed by Au Revoir Simone

mercoledì 21 marzo 2012

Drive


Drive dura 95 minuti. Cosa fai prima e dopo questi 95 minuti non gli interessa. Lui ti garantisce 95 minuti di puro godimento cinematografico, il resto sono cazzi tuoi. Presenta i personaggi con una maestria di pochi colpi di pennello, tinte fosche tendenti a un rosso sangue diluito durante la notte di una Los Angeles di seconda facciata, non a caso ci sono i Clippers e non i Lakers. Un silenzioso monolitico, per sentimenti espressi a pelle, Gosling (espressione con stuzzicadenti e senza stuzzicadenti) si innamora di una giovane ma già madre e sposata Mulligan. È l’inizio della fine, perché rompe in qualche modo la struttura che si era dato per tenere in piedi il proprio mondo: si intromette oltre quei cinque minuti che si era imposto.
Con questo si scatena tutta una serie di legami tra personaggi malavitosi quando il marito di Carey Mulligan esce di prigione e cerca di riprendersi il suo posto nella vita, senza andare a infrangersi con forza contro Gosling che invece sembra prendere atto ed è disposto a tutto, anche aiutarlo, per rendere felice e tranquilla la sua fiamma (non solo in senso sentimentale).
Le cose cominciano ad andare male, in un susseguirsi di connessioni una dietro l’altra, dove la resa dei conti non torna mai e si è costretti ad andare sempre più a fondo, sempre più ferocemente, fino a quando non si arriva a grattare la fine, con le unghie, insanguinate, e la notte finisce, finalmente, laddove inizia il giorno: davanti a una porta chiusa e dentro una macchina in partenza.

lunedì 19 marzo 2012

Geometria notturna

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La voce vicinissima, le parole quasi lo toccavano.

Io sono la cosa più importante della mia vita. Sono centrale in qualsiasi cosa faccia e le persone che amo e a cui voglio bene sono fondamentali per la mia esistenza, molto più degli uomini di stato, i giocatori di biliardo, o le persone che hanno una nomination al premio Oscar

Guardai a lungo prima di riuscire a riconoscermi: pallida e flaccida, con le spalle curve, i capelli umidicci e le vene varicose che piano piano mi disegnavano una cartina geografica sulle gambe.

C’è solo una cosa che desidero più della prova di essere esistita, ed è la prova di esistere mentre ancora ci sono. Non essendo una sciatrice olimpica, né l’ospite di un talk show, non vedrò esaudito il mio desiderio. Ci sono troppe persone vive oggi per poterle notare tutte.

È l’inizio di una sera azzannata dal gelo.

A quel tempo Elmer era spesso via. Per lavoro. E mia madre modellava le giornate attorno alla sua assenza.

È lo stesso nel campo del crimine, specialmente quando si tratta di omicidi. La gente entra in una linea di coincidenze e le segue fino alla fine. La predestinazione ha un ruolo non secondario. Sono troppe le possibilità che si susseguono come tessere del domino: il momento sbagliato, il posto sbagliato, la finestra aperta, una conoscenza sfortunata, un eccesso di fiducia e improvvisamente ecco che queste persone si ritrovano a metà strada verso l’imprevisto e diventano silenzio.

Alla gente piace leggere di omicidi, ci trova qualcosa di consolatorio. Le piazzi davanti i fatti, in modo garbato ma schietto, e così piano piano liberi la morte dalla paura e dal mistero. Le mostri un problema e come lo risolvi. È facile.

Pensavo che quella di Annie fosse una bella idea. Si erano appena laureati e si erano accorti che la loro vita aveva preso la forma che conoscevano. Non c’era nient’altro da imparare, o almeno non c’era modo di dimostrare quello che avevi imparato. Per il momento non avevano idea di come fare. Cominciarono a mandare curriculum per lavori che non riuscivano a immaginare e a preoccuparsi per lo scoperto in banca. Così era stata un’ida sensata quella di trovare un appartamento insieme, tutti e tre, per dividere le spese e tenersi compagnia se avevano bisogno di fare due chiacchiere. Avevano paura, sentivano il futuro che si avvicinava.

Il film farebbe vedere com’è facile essere infedeli a un uomo troppo occupato e com’è facile volere qualcosa di bello.

Poi pensai, prima di chiudere la porta quando uscì, che oltre quel punto non potevamo andare. Non mi avrebbe mai sposato. Non sarebbe mai diventato veramente mio marito, anche se io non posso essere altro che sua moglie. Gli diedi un bacio, gli strinsi la sciarpa al collo e per la prima volta capii che non c’era speranza. Ci stavamo consumando a vicenda. Per tutto quel tempo c’eravamo consumati. Non c’eravamo quasi più. Speravo che se ne andasse in fretta perché non gli piaceva vedermi piangere e poi uscii di corsa e gli diedi una spinta. Ma cercai senz’altro di afferrargli una mano.

Le dispiacque quando lui se ne andò, ma provò anche un po’ di sollievo, quindi evidentemente se n’era andato al momento giusto.

Quando tornò a casa, Bobby le disse che era abbronzata. Non era vero. Eppure, quando se lo ritrovò davanti pensò che non poteva non notare qualche cambiamento. Era come stare davanti a suo padre il giorno dopo che un ragazzo di nome White le aveva infilato un amano sotto la gonna. Era sicura che la sua faccia avesse cambiato forma. Che il cambiamento interiore in qualche modo si vedesse anche all’esterno.

Non si va all’inferno perché si è felici.

A. L. Kennedy

venerdì 16 marzo 2012

Just Want Your Jeans

My room faces north
But the sun's in the south
I am just waking up
To the news of my birth
I am a girl and I'm lucky to be here
Whatever that's worth

Like an ostrich
I lived with my head in the sand
I slipped into corners
I sat on my hands
I learned to stifle
The shouts and the outrage
I'm feeling deep down

With my chains falling off
And the hope in a friend
Cafés and walkaways
And sculptured weekends
I am getting to love my freedom
I am getting to like my surroundings

My room faces north
But the sun's in the south
You are far out of reach
Could I be any worth?
To some special person
My mind is unknowing
Of any such luck

So I yell out the window
I answer the mail
My diary is quiet, the definitive nail
In my social coffin
I blame all the boffins
For making me fail

For an hour in the park
Or an hour on the couch
With the boy of my choice
If he makes me go "Ouch!"
I will swap all my dumb school prizes
I am open to dark surprises

My room faces north
But the sun's in the south
You are far out of reach
Perfect hand, perfect mouth

I'll barter my freedom
I'll trade all my medals
Please keep me in dreams
I don't want commitment
I don't want the drama
I just want your jeans
I just want your jeans


Performed by God Help The Girl

mercoledì 14 marzo 2012

Mr. Beaver


Quando si arriva alla fine anticipatamente, quando si è vuoti ma ancora continuiamo ad andare avanti, a camminare, a respirare, a fare finta di vivere, come bisogna comportarci? La risposta è: se siamo arrivati al capolinea, quello vero, la domanda non esiste, perché non ce la porremo mai. Se invece guardandosi allo specchio, o restando in piedi su di un cornicione di un grattacielo, ci troviamo a domandarci come sia giusto comportarsi, o cosa fare, cosa non fare, vuole dire che non abbiamo ancora finito del tutto, non ci siamo esauriti completamente, ma rimane un briciolo un brandello di benzina che ci permette di farci una tale domanda. A questo punto il quesito diventa insistente: come fare, cosa fare? Se noi stessi ci siamo ridotti in questo modo significa che forse noi stessi non siamo la persona più adatta a noi stessi, per questo quindi c’è chi decide di cambiare. Non importa se tutto o solo un braccio, anche perché come si sul dire: gli dai un dito e si prendono tutto il braccio; gli dai un braccio e si prendono tutto.
La fuga da delle tenebre grigie tramite la corsa verso altre tenebre, magari anche più nere. Annientamento. Un suicidio di se stessi al posto di un suicidio reale, vero, buttandosi magari dal cornicione di un grattacielo. All’inizio può sembrare una salvezza, perché rimanendo sempre nello stesso posto la luce ristagna e anche spostandosi di poco da qualche parte si ha la sensazione di una specie di miglioramento, il cambio di colore, seppure dal grigio al nero, sembra sia pur sempre più luminoso, ma è solo il cambiamento. Basta lasciare che gli occhi si abituino e tutto torna più o meno come prima: le cose si chiamano in un altro modo ma sono sempre le stesse, il sapore di fondo è il medesimo.
La soluzione deve essere più drastica, un taglio netto.

lunedì 12 marzo 2012

Un giorno questo dolore ti sarà utile

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“Allora tua madre come sta? Se la cava?”
“Mi pare di si” ho risposto. “È solo un po’ esaurita. E triste.”
“Senti, se tua madre ha una virtù è che la tristezza le passa in fretta.”
Detesto quando papà fa osservazioni di questo genere sulla mamma, e viceversa. Se uno divorzia, secondo me perde il diritto a fare commenti sui comportamenti o sul carattere dell’altro.

Non sono uno psicopatico (anche se non credo che gli psicopatici si definiscano tali), è solo che non mi diverto a stare con gli altri. Le persone, almeno per quel che ho visto fino adesso, non si dicono granché di interessante. Parlano delle loro vite, e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se si ha da dire qualcosa di interessante o di necessario. Non mi ero mai reso conto di quanto questo stato d’animo mi avesse complicato la vita fino all’esperienza che mi è capitata la primavera scorsa.
Un’esperienza orribile.

Se non fosse una tragedia, mi verrebbe da ridere a pensare che la religione è considerata una forza positiva, che rende le persone buone e caritatevoli. La maggior parte dei conflitti passati e presenti sono dovuti all’intolleranza religiosa. È un argomento su cui potrei andare avanti all’infinito perché mi disturba moltissimo, soprattutto dopo fatti come l’11 settembre, ma la smetterò qui.

Tu parli di cultura, di libri, di film: quelli è facile farseli piacere. Ma l’importante è che ci piaccia la vita, non l’arte. Sono capaci tutti di ammirare la Cappella Sistina.

Sono rimasto zitto. Aveva ragione e lo sapevo, anche se questo non cambiava nulla. La gente pensa che se riesce a dimostrare di aver ragione l’altro cambierà idea, ma non è così.

“No,” le ho risposto “hai ragione. È vero.”
“È vero cosa?” ha chiesto.
“Che sono disturbato.” Pensavo al significato di questa parola, a che cosa volesse dire veramente, come quando si disturba la quiete o la televisione è disturbata. O quando ci si sente disturbati da un libro o da un film o dalla foresta vergine che brucia o dalle calotte polari che si ritirano. O dalla guerra in Iraq. Era uno di quei momenti in cui ti sembra di non aver mai sentito una certa parola e non riesci a credere che abbia proprio quel significato, e cominci a riflettere su come ci si è arrivati. È come il rintocco di una campana, cristallino e puro, disturbato disturbato disturbato, sentivo il suono vero della parola, così ho detto, come se me ne fossi appena accorto: “Sono disturbato.”

Riflettevo sui concetti di pensiero e di linguaggio, a quanto sarebbe stato difficile esprimerli – o quantomeno spossante, come se pensarli fosse già abbastanza e dirli fosse pleonastico o riduttivo, perché lo sanno tutti che la traduzione svilisce un testo, è sempre meglio leggere il libro nella lingua originale (A la recherche du temps perdu). Le traduzioni sono solo delle approssimazioni soggettive e questo è esattamente quello che provo quando parlo: quello che dico non è quello che penso ma solo quello che più gli si avvicina, con tutti i limiti e le imperfezioni del linguaggio.

Quasi tutti pensano che le cose non siano vere finché non sono state dette, che sia la comunicazione, non il pensiero a dargli legittimità. È per questo che la gente vuole sempre gli si dica “Ti amo, ti voglio bene”. Per me è il contrario: i pensieri sono più veri quando vengono pensati, esprimerli li distorce o li diluisce, la cosa migliore è che restino nell’hangar buio della mente, nel suo clima controllato, perché l’aria e la luce possono alterarli come una pellicola esposta accidentalmente.

Mi sento sempre in difetto di fronte alle persone che parlano più di una lingua. Le invidio. Disponendo di due (o più) lessici, non solo possono dire molte più cose e parlare a molte più persone, ma anche pensare di più. Spesso mi sembra di inseguire un pensiero, ma di non riuscire a trovare una lingua per dargli forma e il pensiero rimane solo una sensazione. A volte è come se pensassi in svedese senza sapere lo svedese.

A volte le brutte esperienze aiutano, servono a chiarire che cosa dobbiamo fare davvero. Forse ti sembro troppo ottimista, ma io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti. Possono essere appagate, e magari a modo loro anche felici, ma non sono molto profonde. Ora la tua ti può sembrare una sciagura che ti complica la vita, ma sai… godersi i momenti felici è facile. Non che la felicità sia necessariamente semplice. Io non credo, però, che la tua vita sarà così, e sono convinta che proprio per questo tu sarai una persona migliore. Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono – un dono crudele, ma pur sempre un dono.

Peter Cameron

venerdì 9 marzo 2012

Ketamine and ecstasy

Ketamine and ecstasy
Your words are hanging in the trees
A whole university just rises

Don't ask to sooth me
I'm deaf and muted
It seems that I would have to do
Me trying to hold on to you
And you trying not to put up a fight

Have I become a stranger to this country?
Was I ever even in any country at all?

I want you what you want out of this
You can be sure
Here comes the rain again
To wash away what we had

We'll find yourself a substitute
To loose the dogs upon the shoot
You say the car can steer itself tonight

Running around as the nightmare clouds
Are bare enough till I will cry
As anyone can see we're meant to be
Well we don't really belong

Have I become a stranger to this country?
Was there ever even any country at all?

I want what you want out of this
You can be sure
I want what you want out of this
You can be sure

I want what you want out of this
You can be sure

Here comes the rain again
To wash away what we have run

Performed by Clap Your Hands Say Yeah

mercoledì 7 marzo 2012

5 Giorni fuori


Cinque giorni fuori, o cinque giorni dentro, dipende da come li si vuole interpretare questi giorni. In realtà sono cinque giorni per cercare di rientrare, o per lo meno non tanto di ritrovarsi quanto piuttosto di ritrovare qualcosa, un qualcosa di importante che a volte la maggior parte delle persone danno per scontato ma che scontato in realtà non è, soprattutto in un’età, l’adolescenza, durante la quale ogni cosa si sovrappone per creare quanta più confusione possibile e ogni problema pare essere non grande ma di più, enormi. Quando ti rendi conto di avere esagerato, di avere ingigantito i tuoi problemi e che la soluzione che pensavi ti avrebbe aiutato è una medicina talmente disgustosa da fare più paura della paura per la quale si prende, è ormai troppo tardi, indietro non si torna, almeno non per i cinque giorni di cui sopra.
Cinque giorni possono essere pochi ma allo stesso tempo possono essere una vita intera, compressa nel tempo, durante cui incontri un nuovo mentore (per quanto strano possa essere e pieno di problemi e incasinato e a tratti pure pericoloso), o padre in sostituzione di uno che non sembra esserci stato mai, nuovi cosiddetti amici, nuovi compagni, e una nuova ragazza capace di togliere dalla testa l’idea fissa che ci si è costruiti attorno a noi stessi e un’altra ragazza ancora. Cinque giorni per capire davvero dove sta la sensazione giusta, quale sia la persona a cui tenere di più.
Facciamo un gioco: parliamo, ma dobbiamo concludere ogni volta la frase con una domanda? Ci stai?
Fa già parte del gioco?
(a te decidere)

lunedì 5 marzo 2012

Febbraio 2012


"Mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno."

Jonathan Safran Foer

venerdì 2 marzo 2012

Same Mistake

On and open road and a virgin kick to chaos
with an angel tattooed to her inner thigh,
wild eyes reflected, and the neon sign.
I did not ask for love,
merely the same mistake

Don't be a fool with that,
your useless plastic pistol,
On my signal, we will drop our stupid
cause and disappear into the night.
As it stands, we're trading potions
for new potions to be swallowed whole.
We make the same mistake.

What to imply?
Have you picked a part?
Staying in the action.
Where's the action?
Here we are, drawing straws,
taking sides when we aren't
letting up and letting go.
Letting up.
Letting go.

Manacles and endless lists on a shelf.
Our wealth, it will be squandered
by subtle gusts of cold wind,
cars rusting below the bridge.
And shouts behind the factory,
at first frightening,
but it's just kids beginning
To make the same mistakes

On an open road
On an open road
On an open road
We make the same mistake

Performed by Clap Your Hands Say Yeah