mercoledì 21 marzo 2012

Drive


Drive dura 95 minuti. Cosa fai prima e dopo questi 95 minuti non gli interessa. Lui ti garantisce 95 minuti di puro godimento cinematografico, il resto sono cazzi tuoi. Presenta i personaggi con una maestria di pochi colpi di pennello, tinte fosche tendenti a un rosso sangue diluito durante la notte di una Los Angeles di seconda facciata, non a caso ci sono i Clippers e non i Lakers. Un silenzioso monolitico, per sentimenti espressi a pelle, Gosling (espressione con stuzzicadenti e senza stuzzicadenti) si innamora di una giovane ma già madre e sposata Mulligan. È l’inizio della fine, perché rompe in qualche modo la struttura che si era dato per tenere in piedi il proprio mondo: si intromette oltre quei cinque minuti che si era imposto.
Con questo si scatena tutta una serie di legami tra personaggi malavitosi quando il marito di Carey Mulligan esce di prigione e cerca di riprendersi il suo posto nella vita, senza andare a infrangersi con forza contro Gosling che invece sembra prendere atto ed è disposto a tutto, anche aiutarlo, per rendere felice e tranquilla la sua fiamma (non solo in senso sentimentale).
Le cose cominciano ad andare male, in un susseguirsi di connessioni una dietro l’altra, dove la resa dei conti non torna mai e si è costretti ad andare sempre più a fondo, sempre più ferocemente, fino a quando non si arriva a grattare la fine, con le unghie, insanguinate, e la notte finisce, finalmente, laddove inizia il giorno: davanti a una porta chiusa e dentro una macchina in partenza.

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