venerdì 30 dicembre 2011

When The Thames Froze

God damn, this snow
Will I ever get where I wanna go
And so I skate, across the Thames
Hand in hand, with all my friends
And all the things, that we planned
My son's eyes in the outline of his hand
And even though I hate the cold
Constant reminder that I'm getting old
Another year draws to its close, entire London slows
When I dream tonight, I'll dream of you
When the Thames ... froze

God damn, this government
Will they ever tell me, where the money went
Protesters march out on the street
As young nerds sleep amongst the feet
Another year draws to its close, entire London slows
When I dream tonight, I'll dream of you
When the Thames froze

So tell everyone that there's hope in your heart
Tell everyone or it will tear you apart
The end of Christmas day, when there's nothing left to say
The years go by so fast, let's hope the next beats the last
Tell everyone that there's hope in your heart
Tell everyone or it will tear you apart
The end of Christmas day, when there is nothing left to say
The years go by so fast, let's hope the next beats the last aaaaaahaaaahaaahaaa

Performed by Smith & Burrows

mercoledì 28 dicembre 2011

Il re pallido

More about Il re pallido

Lui aveva avuto nonni che tenevano in grembo mani dall’aspetto alieno e artigliesco.

C’era sempre un che di deludente nelle nuvole a starci dentro; smettevano di essere nuvole. Diventavano solo nebbia.

Appena ti ritrovi a fare due chiacchiere con la persona giusta, interrompiti all’improvviso a metà del discorso, guardala dritto negli occhi e di’: “Cosa c’è che non va?” Dillo in tono preoccupato. Quella dirà: “In che senso?” E tu: “Qualcosa non va. Si capisce. Che cos’è?” E quella ti guarderà sbigottita dicendo: “Come fai a saperlo?” Non si rende conto che c’è sempre qualcosa che non va, in tutti. Spesso più di una sola cosa. Non sa che tutti vanno sempre in giro con qualcosa che non va e sono convinti di fare un grade sforzo di volontà e di controllo per impedire agli altri, che secondo loro non hanno mai niente che non va, di accorgersene.

Una passeggiata al parco dopo una nevicata, quando tutto è croccante e bianco.

La ragazza indossava una vecchia camicia a scacchi di cotone liso con i bottoni automatici color perla e le maniche lunghe abbassate e aveva sempre un buonissimo odore di pulito, quello di chi merita tutta la tua fiducia e il tuo affetto anche se non ne sei innamorato.

Su quel tavolo, né pietrificato né ancora in movimento, Lane Dean Jr. capisce tutto questo, e viene mosso a pietà e anche a qualcos’altro, qualcosa di cui non conosce il nome, che gli viene concesso nella veste di una domanda che in tutti i pensieri e la scissione di quella lunga settimana non gli è mai venuto in mente: perché è tanto sicuro di non amarla? Perché un certo tipo di amore dovrebbe essere diverso? E se lui non avesse la più pallida idea di cosa sia l’amore? Come si comporterebbe Gesù? Perché proprio in quell’istante sentì le piccole mani forti e morbide di lei sulle sue, che lo invitavano a girarsi. E se lui avesse semplicemente paura, se fosse solo questa la verità, se la cosa per cui pregare non fosse l’amore ma il semplice coraggio di guardarla negli occhi mentre lei lo dice e di fidarsi del proprio cuore?

l’espressione negli occhi di Cheryl Ann, che Tom Bondurant pur non avendoci ripensato una sola volta non ha mai dimenticato, era di vacua tristezza terminale, non tanto di un fagiano tra le fauci di un cane quanto di una persona che sta per cedere qualcosa sapendo in anticipo che ciò che riceverà in cambio non sarà mai abbastanza.

Lesse un Segno rosso del coraggio senza copertina e capì per puro intuito che l’autore non aveva mai visto la guerra né sapeva che superato un certo estremo uno si leva al di sopra della paura e riesce a guardarla senza battere ciglio mentre fa quello che deve o che gli è consentito fare per restare in vita.

- Be’, a mio padre piaceva dividere il prato in tanti pezzetti e striscioline quando tagliava l’erba. Falciava l’angolo destro sul cortile davanti, rientrava un po’ in casa, poi falciava la striscia in basso a sinistra del prato sul retro e un quadratino vicino allo steccato, tornava dentro, e via dicendo. Aveva un sacco di rituali del genere, era il suo modo di essere. Ha presente? Ci ho messo un po’ a capire che faceva così con il prato perché gli piaceva la sensazione di aver finito. Di avere un compito e sentire che lo faceva e poi aveva finito- è una piccola sensazione concreta, come essere una macchina che sa di funzionare bene e di fare quello per cui è stata creata. Ha presente? Dividendo il prato che so, in diciassette piccole parti, che mia madre considerava una delle sue tante stramberie, lui si riservava la sensazione di aver finito un lavoro diciassette volte anziché una sola.

Noi americani in un certo senso siamo pazzi. Ci comportiamo da poppanti. Non ci consideriamo cittadini, elementi di un insieme più vasto verso il quale abbiamo profonde responsabilità. Ci consideriamo cittadini quando si tratta di diritti e privilegi, mai di responsabilità. Deleghiamo le nostre responsabilità civiche al governo aspettandoci che il governo, di fatto, legiferi sulla moralità.

“Sto facendo finta di starmene qua seduto a leggere La caduta di Albert Camus per l’esame di Letteratura dell’alienazione, ma in realtà sono tutto concentrato ad ascoltare Steve che cerca di fare colpo sulla ragazza al telefono, e provo imbarazzo e disprezzo per lui, e penso che si dia delle are, e allo stesso tempo ho anche l’infelice consapevolezza delle volte in cui anch’io ho cercato di proiettare l’idea di un me stesso fico e cinico per fare colpo su qualcuno, nel senso che non solo Steve mi sta antipatico, che in tutta onestà è vero, ma se mi sta antipatico in parte è anche perché quando lo sento parlare al telefono vedo le somiglianze e capisco cose di me che mi imbarazzano, ma non so come smettere di farle, cioè se smettessi di sembrare nichilista, anche solo ai miei occhi, cosa succederebbe, come sarei? E me lo ricorderò quando non sarò sotto l’effetto della simpamina, o quando tornerò semplicemente ad avercela con Steve Edwards senza concedermi di esserne consapevole, o di sapere il perché?”

la sensazione che tutte le cose importanti fossero a portata di mano e io ogni tanto potessi svegliarmi quasi a metà falcata, nel bel mezzo di tutte le insulsaggini alla cazzo di cane, ed esserne improvvisamente consapevole. È difficile da spiegare.

sono quasi sicuro che se mio padre non dispensava mai saggezza come gli altri padri è perché capiva che i consigli – anche quelli saggi – in realtà non servono a niente a chi li riceve, non gli cambiano niente dentro e anzi possono confondergli le idee se gli fanno sentire il grande divario tra la relativa semplicità del consiglio e la complessità incasinatissima della sua situazione e del suo percorso.

La verità, credo, è che le esperienze enormi, improvvise, clamorose e inaspettate che ti cambiano la vita non sono traducibili né spiegabili a nessuno, e questo perché sono davvero e particolari, anche se non uniche come credeva la ragazza cristiana. Questo perché il loro potere non è semplice risultato dell’esperienza in sé, ma anche delle circostanze in cui ti capitano tra paco e collo, di tutto quanto costituisce l’esperienza di vita che ti ha condotto fin lì rendendoti esattamente la persona che sei e ciò che sei quando l’esperienza ti capita tra capo e collo.

Sembrava agile e preciso; i movimenti avevano l’economia brusca di chi sa che il tempo è un bene prezioso.

sopportare la noia nel tempo reale in uno spazio confinato: qui sta il vero coraggio.

La verità è che l’eroismo dei nostri passatempi infantili non era un vero valore. Era teatro. Il grande gesto, il momento della scelta, il pericolo mortale, il nemico esterno, il risultato della battaglia cruciale che risolve tutto: tutto concepito per apparire eroico, per entusiasmare e gratificare un pubblico. Un pubblico -. Ha fatto un gesto che non so descrivere: - Signori, benvenuti nel mondo della realtà: non c’è pubblico. Nessuno che applauda, che ammiri. Nessuno che vi veda. Capite? Ecco la verità: il vero eroismo non riceve ovazioni, non intrattiene nessuno. Nessuno fa la fila per vederlo. Nessuno se ne interessa.

In realtà, però, le Investigazioni tributarie sono una specie di ultima spiaggia, perché è raro che le sanzioni penali forniscano entrate aggiuntive – un contribuente in prigione non percepisce un reddito e perciò non è in condizione di rimborsare il dovuto – mentre la minaccia credibile di un’incriminazione può stimolare il rimborso e il futuro rispetto delle regole, oltre a dissuadere altri contribuenti dal prendere in considerazione l’evasione con conseguenze penali.

Il duro lavoro a tavolino nella realtà procede a pezzi e bocconi, con brevi intervalli di concentrazione che si alternano a frequenti puntate ai bagni maschili, alla fontanella dell’acqua, al distributore automatico, a continue visite al temperamatite, a telefonate improvvisamente improrogabili, a intervalli assortiti in cui guardi quali forme riesci a dare a una graffetta, &cc. Questo perché sedere immobili e concentrati a un unico compito per periodi di tempo prolungati è, all’atto pratico, impossibile.

- Le mani sono particolarmente vicine all’idea di identità della persona che sei, e questo contribuiva all’orrore. Superate solo dalla faccia in termini di vicinanza, forse.
- Io la merda di cane non l’avevo in faccia. Tenevo le braccia dritte davanti a me come per mettere tutta la distanza umanamente possibile tra me e le mie mani.
- Contribuiva solo a farti sembrare un mostro. I mostri tengono quasi sempre le braccia dritte davanti a sé quando ti inseguono. Io sarei scappato a gambe levate.

Fatti: L’italiano Padre Pio affetto da stimmate ha avuto per tutta la vita ferite che penetravano la parte mediale della mano sinistra e dei piedi. La santa umbra Veronica Giuliani presentava ferite a una mano e al fianco, ferite che gli osservatori hanno visto aprirsi e chiudersi a comando. La veneranda Giovanna Solimani nel Settecento permetteva ai pellegrini di infilarle speciali chiavi nelle ferite delle mani e di girarle, a quanto si dice per facilitare la guarigione di quei clienti dalla disperazione razionalista.
Stando a san Bonaventura e a Tommaso da Celano, le stimmate alle mani di san Francesco d’Assisi includevano masse bacilliformi di quella che si presentava come carne nera indurita estrudente da entrambi i piani palmari. Se e quando si effettuava una pressione sulla cosiddetta “unghia” del palmo, dietro la mano protrudeva immediatamente una bacchetta di carne nera e indurita proprio come se una cosiddetta “unghia” vera trapassasse la mano.
Eppure (fatto): le mani non hanno la massa anatomica necessaria a sostenere il peso di un essere umano adulto. I testi giuridici romani e i moderni esami sugli scheletri del primo secolo confermano che la crocifissione classica prevedeva l’inserimento di chiudi nei polsi del soggetto, non nelle mani. Da qui, testualmente: “La necessaria simultaneità di verità e falsità delle stimmate” che il teologo esistenzialista E. M. Cioran spiega in Lacrime e santi del 1937, quella stessa monografica in cui chiama il cuore umano la “ferita aperta di Dio”.

Le false credenze sul dolore includono:
- Le persone con una malattia grave o una ferita seria hanno sempre forti dolori.
- Maggiore il dolore, maggiore l’estensione o la gravità del danno.
- Un forte dolore cronico è sintomo di malattia incurabile.
Il realtà i pazienti affetti d auna malattia grave o da una brutta ferita non hanno necessariamente dolori intensi. Né l’intensità osservata del dolore è direttamente proporzionale alla portata o alla gravità del danno; la correlazione dipende anche dal fatto che i “percorsi del dolore” del sistema spino-talamico anterolaterale siano intatti e funzionino secondo norme stabilite. Inoltre, la personalità di un paziente nevrotico può accentuare il dolore provato, e una personalità stoica o elastica può diminuire l’intensità percepita.

- Secondo te fare conversazione con qualcuno che conosci bene è molto più semplice che con qualcuno che non conosci affatto sostanzialmente per via di tutte le cose che due che si conoscono bene si sono detti e hanno fatto insieme, o perché forse solo con le persone che conosciamo già bene e che si conoscono bene ci risparmiamo l’imbarazzante processo mentale di sottoporre tutto quello che pensiamo, diciamo o solleviamo come argomento per fare due chiacchiere a un’analisi critica e a una valutazione impacciate che riescono a far sembrare tutto quello che pensiamo o ci riproponiamo di dire all’altra persona noioso, stupido o banale o invece forse eccessivamente intimo o fonte di tensione?

La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che preclude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senza aria. […]
È la chiave della vita moderna. Se sei immune alla noia, non c’è letteralmente nulla che tu non possa fare.

Meredith Rand appartiene alla piccola manciata di donne del Ccr che ogni maschio con un’opinione in merito concorda nel definire bella da mordersi i gomiti. Beth Rath non è niente male, ma Meredith Rand appartiene a tutt’altra categoria. Meredith Rand ha due occhi verdi senza fondo, la struttura ossea del visto delicatissima, una carnagione vellutata senza pori e quasi priva di rughe o segni di stanchezza e una valanga di riccioli biondo scuro che, stando a Sabusawa, quando sono sciolti e possono incorniciarle il viso e le spalle è attestato che provocano tic faciali perfino nei gay o comunque negli asessuati. L’opinione unanime, non sempre tacita, è che sia un tocco di primissima scelta.

La Rand, che ha sicuramente i numeri per sapere che la schiettezza è una forma di scaltrezza, racconterà a Beth Rath che era un po’ come essere guardati da una mucca o da un cavallo: non solo non sai che cosa pensano quando ti guardano, o se pensano, ma non hai la minima idea nemmeno di quello che vedono mentre guardano, eppure allo stesso tempo senti che ti vedono per davvero.

il rifiuto sessuale diretto è profondamente spiacevole per le persone, e meno è diretto il modo in cui informi qualcuno della tua attrazione sessuale, meno direttamente ti senti rifiutato se l’attrazione non è corrisposta.

David Foster Wallace

venerdì 23 dicembre 2011

Centauro

Siamo io e il Centauro
Un mezzo uomo e un mezzo cavallo
Pronti al veglione di capodanno senza un capello fuori posto
La giacca scamosciata e i ferri nuovi marca Lodetti

Ho una mora e una bionda per la festa
Mi spiace se la volevi rossa
Ti passo a prendere alle otto per quel discorso ho già risolto
Non parliamone al telefono ché il mio è sotto controllo

E ci vestiamo come delle puttane e ci infiliamo nella nostra cinquecento o seicento che sia
Rossetto rosso, come tu lo vuoi sono sicuro che stanotte ti farò contento

Ci hanno promesso il paradiso, richiesto ancora l'ultimo sforzo
Se di mezzo c'è un compromesso poi ci ritiriamo a recco

E ci vestiamo come delle puttane e ci infiliamo nella nostra cinquecento o seicento che sia
Rossetto rosso, come tu lo vuoi sono sicuro che stanotte ti farò contento

Performed by Il Pan del Diavolo

mercoledì 21 dicembre 2011

Zack & Miri... amore a primo sesso


Kevin Smith era partito con il botto, sfornando quell'esordio misurato di Clerks. Fresco del successo indie ottenuto si lasciò però prendere la mano andando a dirigere quel guazzabuglio di schifezza un po' troppo volgare di Generazione X (altro che misurato, quello). Si era poi ripreso con In Cerca di Amy e con il provocatorio Dogma, per poi ricadere di nuovo nel baratro col quasi vergognoso Jay & Silent Bob... Fermate Hollywood!, a tratti inguardabile (o forse era una specie di fan made diretto appunto da un fan?).
I suoi standard qualitativi non sono più arrivati ai livelli di Clerks, neppure quando ha tentato di tornarci più o meno dirigendone il sequel. I tempi di Dante e Randal sono andati, perduti, frutto di un'alchimia forse irripetibile. Da Smith c'è ora da aspettarsi che sforni pellicole decenti, evitando magari le vaccate a cui è abituato a incappare di tanto in tanto. Zach & Miri forse non fa parte di nessuna delle due categorie, oppure ne fa parte di entrambe, tenendo una gamba su una staffa e l'altra gamba sull'altra staffa, a cavalcioni su un cavallo che non è né tutto buono né tutto brutto: è un cavallo, con i suoi propri pregi e i suoi propri difetti. Seth Rogen di tanto in tanto pare non prendersi troppo sul serio, indeciso forse se lavorare o cazzeggiare. Non si capisce quanto sia voluto o quanto invece sia la svogliatezza dedicata al progetto. Più attenta invece Elizabeth Banks, della quale, tanto per mettere a freno le bave malefiche di eventuali allupati, non si vede neppure un centimetro di pelle in più rispetto a quanto già visti da altre parti, dove altre parti si intende: pellicole, film, telefilm, lavori in generale.
Il risultato, questo Zack & Miri... amore a primo sesso, tradotto in italiano dal titolo originale assai migliore e più coerente Zack & Miri make a porno, è un film che si lascia vedere, tranquillo, senza troppi picchi da ricordare, se si esclude la mitica scena della penetrazione anale e di ciò che ne consegue. Accontentiamoci di questo, da Kevin Smith sembra non ci si debba aspettare altro, ad oggi.

lunedì 19 dicembre 2011

Tempo (uno due tre, uno due tre)

Sono in ritardo, quasi in ritardo, forse faccio in tempo, ma non sono mai in tempo, sono fuori tempo, fuori scala, sono stonato, non conteggio le parole, e i numeri si sciogliono, tra lingua e denti, si fanno sempre più liquidi, e non riesco a tenere il tempo - uno due tre, uno due tre - mentre il tempo mi sfugge via di mano, credevo di possederlo invece ne ho le tasche bucate vuote, non so più dove l'ho messo, quando mi avanzava e lo guardavo avanzare come un esercito su di una pianura stesa ad asciugare al sole di un'estate di molto molto tempo fa.
Quanto ci affanniamo per essere puntuali quando ormai il punto è preciso e lo sappiamo tutti, sia io che tu: siamo in ritardo e più passa il tempo e meno farà male, meno male, rendersi conto che le energie sprecate o lo stress accumulato è servito soltanto a fare passare in qualche modo il tempo, lo stesso tempo di cui sopra.

venerdì 16 dicembre 2011

L'amorale

Nella speranza che qualcuno ti consoli
con l'ignoranza di chi dorme sugli allori
hai preso un appuntamento con l'eterno
e il bene ha fatto della terra questo inferno
e no, tu no, tu non me lo sai dire
la questione è solo che non vuoi morire
e no, io no, io non lo so per certo
ma io a vederti un po' morire mi diverto

dio non esiste, lasciatelo dire
è una morale per me, un'amorale
non ci pensare e continua a camminare
è una morale per me, un'amorale

con l'arroganza di chi prende e decide per me
lascio al giudizio di voi, che voi sapete qual è
il prossimo atto di amore universale
non voglio giudicare senza una morale
e no, tu no, tu non lo sai perché
e non ti offendere se mi metto a gridare
che no, io no, non decido io per te
hai il cervello perso fra il dire e il fare

dio non esiste, lasciatelo dire
è una morale per me, un'amorale
non ci pensare e continua a camminare
è una morale per me, un'amorale
se dio non esiste non esiste il male
ed è normale per te che lo sai fare
non ti fermare e continua a viaggiare
che è necessario per chi è stanco di aspettare

Performed by The Zen Circus

mercoledì 14 dicembre 2011

Cambio

Si guarda a destra e a sinistra, pronto a vederla apparire dal nulla, un fantasma a sfumare nell’aria, la sua figura, di lei, prima chiara e poi sempre più solida. È a quel punto, in quel preciso momento, tra il voltare la testa da una parte all’altra, che nota sul tavolo di cucina un piccolo rettangolo giallo chiaro, un riquadro di carta apparentemente intento a fargli la linguaccia.
Il tempo, qui, rallenta, di colpo, tutto insieme, da una velocità da crociera a un rallenty interminabile. Per muoversi e prendere il post-it sembrano passare secoli. I secondi si dilatano all’inverosimile, distanziandosi gli uni dagli altri così tanto da permettere di incastrare tra di loro lo spazio di un giorno intero. Un turbine di pensieri mulinella dentro la testa dell’uomo mentre vede la sua mano entrare con lentezza nel campo visivo, afferrare il quadratino giallo accartocciandolo un poco ai bordi – e pensa cose che non dovrebbe pensare perché ancora non sa cosa potrebbe o dovrebbe pensare – staccarlo dal piano di vetro del tavolo, un leggero quasi insonorizzato stic, portandoselo poi davanti agli occhi.
È lo sfregamento di un cerino contro una parete ruvida. Piccole scintille impazzite danzano tutto attorno alla capocchia, in un vortice furioso della durata di solo pochi secondi, dopo i quali tutte le faville in turbine si raggruppano insieme, più dense, a formare quello che prima non c’era per niente: il fuoco. Se non c’è un fiammifero, dentro la casa, dentro l’uomo, c’è lo stesso un combustibile facilmente infiammabile. Basta un nulla, un piccolo scostamento dagli standard di manutenzione sicura, l’aria ribolle, o la temperatura aumenta di soli pochi decimi di grado, e la sostanza mascherata da combustibile inizia a smuoversi, gorgogliare in ampie vesciche rigonfie che esplodono e poi rinascono, si riformano, gonfiano, sempre più vicine le une dalle altre, più veloci, rapide nella loro vita, scoppiano, lanciando a chilometri e chilometri di distanza ferite e bruciature appiccicose, galle piene di pus infetto, le stesse visibili su una pelle ustionata a contatto diretto con una fonte di calore inverosimile, quasi il sole stesso. Ecco: l’uomo viene gettato dal vuoto dello spazio del suo essere impaziente, nel vagare per le stanze della casa alla ricerca/speranza di lei, sempre più in avvicinamento a quello che sarebbe poi successo, dritto diretto contro il sole, dove l’atmosfera rarefatta lo accoglie rigandogli i bordi del corpo di un tenue colore turchese, quello tipico delle fiamme vicine al loro centro, per poi di colpo bruciare con violenza, partendo dal ventre fino ad arrivare al pugno della sua mano che si chiude con forza, anche eccessiva, accartocciando il post-it fino al midollo, senza strapparlo – cosa che avrebbe donato un senso diverso al tutto – quanto piuttosto riducendolo a un contorto lenzuolo sfatto di pieghe e linee, tutte le une sopra le altre, senza ordine, con il desiderio inconscio di nasconderlo al suo sguardo piuttosto che distruggerlo dalla faccia della terra, o dell’esistenza, mentre invece, ironia della sorte, quando sente affondare le sue unghie, seppure appena tagliate da un giorno, con gli angoli non smussati dentro la carne viva del palmo della mano, sempre suo, così tanto da farsi quasi sanguinare, da un piccolo spazio aperto tra un dito e l’altro, in quella spirale opaca formatasi dall’opposizione del pollice contro l’indice e il medio stretti chiusi con forza, ancora la calligrafia attorcigliata impressa sul foglio si intravede, anche se appena, non tutta la frase, ma il senso, almeno, con una sola singola parola, quasi potesse trattenere dentro di sé tutto quanto il senso o il significato, si capisce. Puttana.

lunedì 12 dicembre 2011

Bad teacher


Doveva essere irriverente, fuori dalle regole, politically incorrect, forse anche solo per la presenza di Cameron Diaz, che nel suo curriculum ha davvero un film scorretto come Tutti pazzi per Mary, ma una pellicola per essere irriverente, fuori dalle regole, politically incorrect etc deve, almeno a mio avviso, contenere qualcosa di più di una semplice professoressa avvezza a marihuana e alcool.
La storia inizia come se fosse a metà, come se lo spettatore in qualche modo conoscesse già la protagonista e non ci fosse bisogno di presentarla o calarla in un contesto. Questo fa in modo che la Diaz vaghi all'interno del film come un personaggio quasi sempre fuori luogo, anche quando ormai la sua psicologia dovrebbe essere ben chiara al pubblico. Ci sono alcune battute, qualche gag (si vociferava di questa scena nella quale gli autori avevano avuto la brillante idea di fare cantare male nientepopodimeno che il coprotagonista Justin Timberlake, ma lo potevano anche far cantare peggio [quasi non notavo la differenza]) e una lotta interna con un'altra professoressa. Attorno a tutto ci sono alunni di qualsiasi razza colore e credo, sfigati e non, un'amica sfruttata non si sa per quale motivo (non tanto il motivo della Diaz, quanto il motivo dell'amica stessa a lasciarsi sfruttare: forse la venera, ma è un forse mio in quanto nella storia non viene fatta menzione di ciò) e il personaggio salva baracca da lieto fine di Jason Segel (il Marshall di How I met your mother) qui un po' ingessato nel ruolo a lui imposto.
Alla fine rimane una visione normale, della quale rimane non poco ma direi davvero nulla. Cameron Diaz è bella come sempre, anzi qui forse un po' più di come si è vista di recente, ma se fosse per questo mi basterebbe fare una ricerca di immagini su internet e sarei ugualmente felice.

venerdì 9 dicembre 2011

Found Love in a Graveyard

Ooh Ooh Ooh Ooh Ooh
Ooh Ooh Ooh Ooh Ooh
I get on my bike and I ride and I ride and I'll never be found again
Skin like paper holding a vapour clinging to a dream I had

Clinging to a dream so true, falling for a ghost like you
Clinging to a dream so true, falling for a ghost like you

Found Love in a Graveyard
Found Love in a Graveyard
Found Love in a Graveyard
Found Love in a Graveyard

I'm broken hearted dearly departed
Dearly departed I'm broken hearted

She was my ghost I know she needed me the most
But We're not alone, we were living in a funeral home
She was my ghost I know she needed me the most
But We're not alone, we were living in a funeral home

Ooh Ooh Ooh Ooh Ooh Ooh

Found Love in a Graveyard
Found Love in a Graveyard
Found Love in a Graveyard
Found Love in a Graveyard

I'm broken hearted dearly departed
Dearly departed I'm broken hearted

She was my ghost
She is my unholy adventure
She was my ghost
She is my unholy adventure

Dearly departed I'm broken hearted
Dearly departed I'm broken hearted

Performed by Veronica Falls

mercoledì 7 dicembre 2011

Io Woody e Warren. I miei amori sul set



Anche se ci eravamo lasciati due anni prima di girare Io e Annie, ero ancora la complice di Woody. Non so spiegare perché continuassimo a funzionare. Forse, come un vecchio divano, eravamo comodi l'uno per l'altra. Ci piaceva ancora sederci insieme sulle "panche dei vecchi" all'ingresso di Central Park e commentare la sfilata di umanità che ci passava davanti. Ci divertivamo ancora con le nostre "follie gastronomiche" e continuavamo a progettare imprese future, ma le cose erano cambiate. All'improvviso lui era il genio comico. All'improvviso io avevo occasioni importanti. Incontrai Warren Beatty per parlare del suo film Il paradiso può attendere, e lo rifiutai per battere i bar come Theresa Dunne in In cerca di Mr. Goodbar. Dopo aver finito di girare quel film, tornai a New York. Quando Warren mi telefonò alla vigilia di Natale, non era per un lavoro.

E continuò a chiamare. Nel gennaio del 1978 Warren e io cominciammo a frequentarci. Mi dissi che era una cosa temporanea. Ero in grado di cavarmela. Certo, lui era intelligente, furbo come un avvocato. E sì, era ancora tanto bello da farti perdere la testa e toglierti il respiro. Non so perché pensai di poter tenere sotto controllo la faccenda, anzi, diciamo la verità, non pensai niente, non pensai affatto. Mi innamorai, e continuai a innamorarmi per un sacco di tempo. Mi conquistò fin dal primo momento in cui lo vidi nell'atrio del Beverly Wilshire Hotel nel 1972. Alzai lo sguardo e, in lontananza, vidi il mio
sogno trasformato in persona reale. Notai anche che non c'era una donna nelle vicinanze che lui non sottoponesse a un esame minuzioso, a parte me. Non mi esaminò, non quella volta. Warren si rivelò un personaggio ben più complesso di quello che avrei potuto immaginare vedendolo baciare Natalie Wood in Splendore nell'erba al cinema Broadway di Santa Ana. Io facevo il secondo anno delle superiori. Non avevo mai visto qualcosa come Warren Beatty. Per qualcosa, intendo dire che non era reale. Era bello da morire. E Natalie Wood? Be', lei era me. Io ero lei. Quando Bud e Deanie furono costretti a lasciarsi, ero devastata. Scrissi perfino a Elia Kazan, il regista, chiedendogli perché i genitori erano così contrari al loro amore. Non avrebbe potuto cambiare il finale? Possibile che una semplice differenza di classi sociali avesse tutta questa importanza? Non mi rispose. Che buffo: un paio di settimane fa ho intravisto Splendore nell'erba alla tivù, ed eccoli di nuovo, Bud e Deanie, ancora tormentati, ancora innamorati.

Neanche la mia storia d'amore con Warren era destinata a durare a lungo. Per noi non si è trattato delle circostanze, ma piuttosto del nostro carattere. Ammetto che c'era anche un pizzico di contrasto fra due mondi diversi che si mescolavano: dopo tutto, Warren era "Il principe di Hollywood" e io ero soltanto "Di annie Oh Hall-ie", come mi chiamava mio padre. Warren aveva una fama tremenda. Quando studiavo alla Neighborhood Playhouse, dopo la lezione di danza di Martha Graham noi ragazze spettegolavamo un sacco sul suo conto. Cricket Cohen conosceva una ragazza che conosceva una ragazza che lui aveva abbordato e portato nella sua camera al Waldorf Astoria. Oh, mio Dio, che orrore, che umiliazione. Tutte noi giuravamo che non ci saremmo mai cascate. Noi no, mai. Quello che non sapevo era che se Warren decideva di puntare la sua luce su di te, non avevi scampo. Sotto il suo sguardo io diventavo la persona più seducente del mondo. Lui si nutriva di ogni sfumatura del mio viso asimmetrico e la trasformava in pura bellezza. Era una cosa ammaliante, ma faceva anche paura. Tenevo il piede in due vite diverse, in due luoghi diversi. Stavo con Warren, ma a causa di Io e Annie tutti credevano ancora che fossi la ragazza di Woody.

Warren aveva un infallibile rivelatore di cazzate perennemente in azione. Sempre alla ricerca di ciò che stava nascosto dietro le apparenze, fu l'unica persona abbastanza curiosa da chiedermi se gli occhiali che portavo in Io e Annie avessero davvero le lenti graduate. Beccata. Mentre Woody incoraggiava i miei tentativi artistici con messaggi come "P. S. Sono arrivate le tue nuove foto. Le migliori che hai fatto! Davvero!", Warren dava un'occhiata a uno dei miei collage e diceva: "Sei una stella del cinema. Era quello che volevi. Adesso ce l'hai. E devi pedalare. E comunque dove credi che ti porterebbe questa roba pseudoartistica?". Era questo che mi piaceva in lui: diceva quello che pensava. E i suoi pensieri avevano una gran quantità di variabili.

Quando confronto il rapporto di mia madre con mio padre e il mio con Warren, non ci sono dubbi che le promesse di Warren erano molto più seducenti di quello che avrebbero mai potuto essere quelle di Jack. Dopo che gli ebbi confessato che gli aerei mi terrorizzavano, Warren arrivò a sorpresa quando stavo per imbarcarmi su un volo per New York, mi prese la mano, mi accompagnò fin sull'aereo, si sedette accanto a me sempre tenendomi la mano e non la lasciò finché non fummo atterrati.

Di Diane Keaton (una donna meravigliosa) tratto dalla sua autobiografia.
Trovato qua: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/11/28/news/diane_keaton-25708635/