venerdì 27 giugno 2008

Stai Tranquilla, Io Sto Bene


Pensa a Irene e Paul, i suoi genitori, al loro bilocale, Cité des Bergeries, poco prima che traslocassero nel villino; a Loic, quando giocavano insieme e mamma cucinava, papà non era ancora tornato dal lavoro, i compiti erano fatti e la televisione era accesa per nessuno.

Mette su Manu Chao, le ricorda Loic, le feste, le notti a dormire in venti a casa di un amico, quando i genitori non c'erano.

Sulla scrivania di pino chiaro fogli sparsi, appunti. Sono leggibili, ma non contengono nulla che spieghi la fuga. O in ogni caso niente di più di quanto Loic diceva sempre a Claire, che bisognava partire, scappare, lasciare la Francia, che sapeva di chiuso, che ti soffocava, oppure al contrario immergercisi completamente, percorrerla in lungo e in largo, andare verso l'oceano, cercare delle radici là dove si sarebbe deciso di metterle, inventarsi una vita, andare ovunque o da nessuna parte, perchè quand ovenivi da liì, dalla periferia parigina, non venivi da nessuna parte, venivi da una no man's land e dovevi costruirti da zero.

Paul le dice che ha l'imbarazzo della scelta, adesso che è diplomata. Lei risponde che più che altro ha la scelta dell'imbarazzo.

Siamo dei mostri di nostalgia, diceva Loic.
Un giorno, nei suoi appunti, Claire ha trovato questa frase: "Quando ero piccolo avevo già nostalgia, ma di cosa?"

Claire se la prende con se stessa per aver pensato a Loic, per non aver intravisto il millantatore, il venditore di fumo, qullo che strafà. Eppure c'erano i suoi silenzi, quel modo sottile di parlare. Forse lo sta giudicando un po' troppo in fretta. Quel tizio ha il diritto di sentirsi solo, di fare il filo a una troia bionda se gli va, pur sapendo che non ne caverà nulla, pur vivendo in anticipo la brutalità del mattino dopo. In fondo abbiamo tutti il diritto di sbagliare, anche di proposito.

"Ti capita mai di finire una frase?"
"Ultimamente no..."

"Hai qualche problema?"
"E' solo che mi sembri un po' sordo, quindi ti ripeto quello che ti ha detto la signorina: ha detto che non vuole che l'accompagni."
Julien ha sfoderato una voce da camionista, un tono cinematografico, minaccioso, fuori forma. Lui, che è muscoloso quanto una spugna...


Olivier Adam

giovedì 26 giugno 2008

Eccola, eccola

Di solito quando faccio una figura di merda non è me ne importa un gran che. Ma questa forse non è proprio definibile come figura di merda, è più qualche altra cosa. Non saprei come spiegarla, con un'unica parola, ma la sensazione che mi ha fatto provare è quella tipica di una figura di merda; come uscire dal bagno con la patta aperte, o fare degli apprezzamenti su una donna scoprendo poi che è la mamma di qualche tuo amico che al momento ti sta accanto: la voglia di tornare indietro e di non fare nulla, ecco. Così mi sono sentito.
Vorrei davvero tornare indietro e non fare nulla, non dire niente, perchè a volte sono sempre così cretino e infantile che poi a ripensarci me ne vergogno.

ps. Qual'è la figura di merda in oggetto? Beh, cazzi miei, no?

mercoledì 25 giugno 2008

Tutti i miei amici sono supereroi


La seconda supereroina con cui era stato si chiamava Soap Opera. Fin da bambina, Soap Opera adorava la tv. Riusciva a provare più empatia per i personaggi televisivi che per le persone reali. Guardava così tanta televisione, si appassionava a tal punto alle vite dei protagonisti del piccolo schermo, che il suo legame con la tv era diventato biologico. Aveva incominciato a piangere televisioni. Quando Soap Opera era triste, minuscoli televisori le spuntavano dagli occhi e le scendevano lungo le guance.
Tom non era affatto gentile con Soap Opera: lui non aveva neanche la tv e quando andava a trovarla a casa la trattava male apposta per vederla piangere.

Ne aveva concluso che esisteva un’unica quantità di denaro: mai abbastanza.

Persino la Clessidra, unica tra i supereroi a viaggiare nel tempo, non crede che il suo superpotere sta niente di eccezionale. Ti fa notare subito che tutti sono in grado di viaggiare nel tempo, e infatti procedono in modo costante e inesorabile verso il futuro: un vero superpotere sarebbe la capacità di non viaggiare affatto nel tempo, di arrestarsi nel presente.



Andrew Kaufman

martedì 24 giugno 2008

NEIL !!!

I-N-C-R-E-D-I-B-I-L-E!!!
Una sola, semplicissima parola: incredibile.
Vedere questo signore salire sul palco, dentro un palazzetto caldissimo come solo un forno al centro dell'inferno, e darci dentro, di brutto, con la chitarra, è qualcosa che ti fa stropicciare gli occhi e dubitare di essere sveglio.
La mancanza dei Crazy Horse mi faceva temere il peggio, ma il grande Nello si è presentato con una trascinante versione di Love And Only Love, dove inizia a cantare solo dopo dieci minuti di assolo iniziale (giusto per far capire che serata sarebbe stata).
Poi, poco prima di tirare un po' il fiato, escano fuori dal cilindro, una di seguito all'altra, Powderfinger e Hey Hey, My My.
E poi i bis: una All Along The Watchtower che solo sotto acido Dylan si potrebbe anche solo sognare (non dico suonare o cantare, no no: proprio sognare, non la potrebbe neppure sognare, immaginare); e la finale Rockin' In The Free World, che Neil termina con la chitarra letteralmente distrutta, con le corde che schizzavano via, come brandelli di carne.
Incredibile: lo avevo visto nel 2001 e l'ho rivisto domenica dopo sette anni, e nonostante questo canta e suona esattamente come ad inizio millennio, o come venti o trenta anni fa.
E pensare: questo grande della musica, questa leggenda, avrà più o meno l'età di mio padre, con la sola differenza che mio padre va a letto alle 22, mentre Neil scorrazza su un palco e si danna l'anima per regalare emozioni a suon di musica e di rock.

venerdì 20 giugno 2008

I'll Be A Prince (Shhh)

If the truth be told deep down hidden from light
Grew a desert bound thought to be crowned that night

And I'm not just a dream,
I make things happen
I'm not just a dreamer,
I'll be a prince

How sweet each step
And I hushed it so
How sweet each step

giovedì 19 giugno 2008

Grida Il Mio Nome

Ripasso i miei ricordi e mi accerto che siano ancora intatti, perché se lui non c'è più, allora il mio compito è quello di ricordare.

Steven ritornò dalla guerra senza labbra.
Questo si è che è un bel colpo, si disse sua moglie Mary, che aveva trascorso gli ultimi sei mesi a lavorare a maglia e a tenersi alla larga da un certo emporio dove lavorava un certo giovanotto che la guardava in quel certo modo. Mi aspettavo delle albbra. Vivo o morto, ma con le labbra.


Aimee Bender

mercoledì 18 giugno 2008

Il sergente

In questi giorni è morto Mario Rigoni Stern.
Non ero un suo assiduo lettore; però ricordo che "Storia di Tonle" fu il primo libro che il mio professore del biennio mi fece leggere.
Pensare a come introdusse quel romanzo, a come parlava dell'autore.
Pensare che Mario Rigoni Stern se ne è andato più o meno un anno dopo il mio professore del biennio, beh... mi fa pensare, ecco tutto.

martedì 17 giugno 2008

Report

Ed eccomi di nuovo qui, a smadonnare su ordini, articoli, sconti e quant'altro, nel tentativo di estrarre dei dati in modo corretto.
E' la vigilia di Italia-Francia: dentro o fuori per entrambe, riedizione della finale mondiale del 2006, e chi più ne ha più ne metta. Il tutto appeso al filo di ciò che farà l'Olanda contro la Romania: sarà onesta e farà la sua gara, quindi vincendo o al massimo pareggiando; oppure farà la furba e coglierà al volo l'opportunità di buttare fuori in un colpo solo le due finaliste mondiali? Io penso di sapere già come andrà a finire: l'Olanda farà il suo dovere, mentre noi no. Mi sembra esattamente in linea con lo spirito italiano.

venerdì 13 giugno 2008

II Pause

Un periodo un po' di spospensione, dove a dire la verità non ho voglia di fare gran che. Neppure di scrivere, o meglio sarebbe dire di pensare, di esprimere concetti che siano anche solo minimamente degni di essere pensati o scritti.
E' in momenti come questi che mi piacerebbe vivere immerso in una canzone dei Sigur Ros.
Sarebbe molto bello.
Sarebbe stupendo.

martedì 10 giugno 2008

The Age of the Understatement

Decided
To sneak up away from your stomach
And try your pulse
And captured
What seemed all unknowing and candid
But they suspected it was false

She's playful
The boring would warn you be careful
Of her brigade
In order to tame this relentless marauder
Move away from the parade

And she was walking on the tables in the glass house
Endearingly bedraggled in the wind
Subtle in her method of seduction
The twenty little tragedies begin

And she would throw a feather boa in the road
If she thought that it would set the scene
Unfittingly dipped into your companions
Enlighten them to make you see

And there's affection to rent
The age of the understatement
Before the attraction ferments
Kiss me properly and pull me apart

Affection to rent the age of the understatement
Before this attraction ferments
Kiss me properly and pull me apart

Ahhhhhhhhhhhhhhhhhh

And my fingers scratch at my hair
Before my mind can get too reckless
The idea of seeing you here
Is enough to make the sweat grow cold

Ohhhhhhhhhhhhhhhhhhhh

lunedì 9 giugno 2008

A Casa

Quando arriviamo davanti casa mia ormai ci conosciamo quel tanto che basta per reputarsi entrambi buoni amici. Lei sa che non sono pericoloso, che non uscirò fuori un giorno con una improvvisa quanto improbabile dichiarazione d’amore. Io, invece, so benissimo che lei è una di quelle ragazze bellissime che, se avrò fortuna, potrò rivedere solo in televisione, ma estremamente fuori dalla mia portata.
Anni luce fuori dalla mia portata.

Io un moscerino qui sulla terra, e lei una stella su un’altra galassia.

Federica parcheggia di fronte il portone di casa mia, esattamente sull’altro lato della strada. Mette in folle e poi mi saluta, poggiandomi delicatamente le labbra sulle mie guance. Dice che è stato un piacere avermi incontrato, così per caso. Io ricambio, eccome.
“Anche per me è stato un piacere.”
Scendo di macchina e corro attraverso la pioggia verso casa.

Una volta a riparo sotto la grondaia, posso finalmente cominciare a pregare. Metto la mano in tasca del giacchetto di jeans e cerco la chiave. Nel farlo mi volto verso la Polo di Federica, ancora parcheggiata là dove mi ha lasciato. Riesco a intravedere i suoi capelli attraverso le piccole gocce che scivolano sul finestrino. Sorrido un po’ a cretino, non so perché, ma mi sembra che lei contraccambi.
Mi volto verso la porta e tiro fuori la mano con la chiave.

Abbasso lo sguardo e mi fermo un istante. Non respiro, non vivo. La pioggia introno a me ha smesso miracolosamente di scendere: rimane sospesa a metà aria come in un fotogramma di un film.
Deglutisco.
La chiave di casa è sofficemente sdraiata sul palmo della mia mano destra, aggrappata a quello sciocco portachiavi dell’autocarrozzeria di mio zio e che mia madre si ostina ad appiccicare un po’ ovunque.

È il momento della verità. Quasi non ho il coraggio di provare ad entrare.
Mi volto di nuovo verso l’altro lato della strada. Federica è ancora là. Non sembra intenzionata ad andarsene fino a che non mi abbia visto sparire dentro casa.
“Cos’ha? Crede per caso che stia cercando di entrare in una casa che non è mia??”
Se lei non ci fosse magari mi risulterebbe tutto più facile. Sapere invece che lei mi guarda mi mette un po’ di agitazione addosso. In un certo qual modo è come se mi stesse giudicando.
“Vediamo se questo è tanto scemo da rimanere chiuso fuori casa…”

Prendo tempo. Mi do una scrollatina ai capelli, anche se ora in realtà non ne avrebbero molto bisogno. Poi, non so come non so dove, trovo il coraggio di provare ad entrare.
Giro la chiave nella mia mano e la indirizzo verso la serratura.
Sono attimi che durano anni. Il percorso che la mia mano deve fare non è calcolabile neppure in un metro, ma ci mette un’eternità.

Ci sono. Mi sembra di essere tornato indietro con gli anni, quando da piccolo all’asilo mi mettevo con le gambe incrociate sul tappeto e giocavo. C’era un una specie di casetta con degli strani buchi sul tetto e il bello era proprio quello di prendere la forme geometriche sparse un po’ ovunque nell’aula e infilare ognuna nel buco giusto. La situazione, ora mi sembra più o meno la stessa.

La chiave tocca già il metallo della serratura. Sono stato attento a posizionarla in modo che scivoli dentro perfettamente e senza alcun problema. L’unica cosa che rimane da fare è prendere un lungo respiro e spingere delicatamente.
Respirare e spingere. Respirare e spingere. Respirare e spingere. Nulla di più.
Respiro.
E spingo.

La chiave entra dentro la serratura che è un piacere. Per un momento assaporo quella dolce sensazione che si prova quando una figura di merda già scritta sfuma via. Poi però, dopo pochi millimetri, la chiave si blocca e non vuole sentirne di andare oltre.
Mi fermo e assaporo quella amara sensazione che si prova quando si è protagonisti di una figura di merda già scritta.

Cerco di non drammatizzare. Anche se la prima cosa che mi verrebbe da fare sarebbe quella di battere i pugni sul portone di casa imprecando contro mio fratello, non lo faccio. Tentiamo di mantenere quel poco di dignità che ancora ho agli occhi di Federica.
L’importante in momenti come questo è non lasciar trasparire la delusione. In altre parole ciò che devo fare è fingere che tutto vada bene e non far capire a Federica che mi trovo con la cacca fin sotto il naso.

Provo ad atteggiarmi in modo del tutto naturale. So che lei non può capire molto la situazione in cui mi trovo, in fondo mi vede solo di schiena e non credo che la mia schiena sia molto espressiva. Nonostante ciò faccio in modo che non si accorga di niente.
Muovo le spalle un po’ in su e in giù. Mando la destra leggermente in basso, rialzando appena la sinistra, e poi viceversa.

Riprovo.
Forse ho solo sbagliato ad inserire la chiave. Magari ho cercato di metterla al contrario, come se non fosse la prima volta.
Mi rimetto ai nastri di partenza. Il cuore riprende a battere esattamente come prima.
Respirare e spingere. Respirare e spingere.
Niente. Si blocca dopo poco.

Riprovo. E ancora nulla. Riprovo ancora, ma è sempre la stessa storia.
Mi sono ormai quasi del tutto arreso e la mia mano che prova ad inserire la chiave dentro la serratura è più che altro un istinto riflesso. Non ci credo neppure più io che prima o poi entri del tutto. Sarebbe un colpo di culo che stonerebbe nella mia vita.
In fondo se la dea bendata avesse deciso di baciarmi questa sera avrebbe avuto il suo bel da fare. Innanzi tutto non avrebbe fatto in modo che Mirko e Irene mi intortassero ben bene convincendomi ad andare con loro all’osservatorio. Poi non avrebbe dovuto far piovere. Ed infine, se davvero avessi un briciolo di fortuna, Federica se ne sarebbe già andata via da un pezzo, senza assistere a questa straziante scena di me che rimango chiuso fuori casa.
“C’è qualche problema?” Appunto.

venerdì 6 giugno 2008

Ask me if I wanna dance with you

Penso a quale strano e difficile meccanismo siamo noi, le persone. Così diverse le une dalle altre, e nonostante questo sempre alla ricerca di un pretesto per attirarci, come le calamite, o legarci assieme, come nodi che uniscono due corde diverse.
Mi domando se mai ci siano delle leggi che regolano i rapporti tra una o più persone. Mi chiedo se tutti siano come me o se qualcuno quando approccia un'altra persona sappia esattamente cosa stia facendo, e se abbia le idee più o meno chiare su come lo debba fare.
Mi vedo come un principiante al suo primo ballo galante, avvolto in uno smoking preso in prestito e che mi fa sentire a disagio, come fuori luogo. Mi lascio condurre dalla mia maestra, che mi prende per mano e mi cinge la vita, e seguo i suoi passi: piede destro avanti; piede sinistro avanti; piede destro di lato; e così via.
Dopo cinque o sei volte magari non diventerei un ballerino provetto, ma magari potrei cominciare a capire dove sbaglio e forse riuscirei pure a tentare di migliorarmi.
Magari potesse essere così anche con i rapporti interpersonali. Dopo un po' si potrebbe capire come funziona il tutto, a che punto bisogna muoversi, e tenere il ritmo per non adare fuori tempo. Ma le relazione non sono un ballo da sala. Nel ballo da sala sai esattamente che ad un tuo passo corrisponderà un passo ben preciso del tuo partner; non c'è niente di inaspettato, non ci sono sorprese, è tutto prestabilito e segue un preciso schema. Questo perchè la persona con cui balli si "omologa" in un certo senso al ballo.
Questo invece non avviene con i rapoporti sociali. Nessuno si "omologa" alla situazione. Due persone nella stessa situazione non si comporteranno alla stesso modo, proprio perchè sono due due persone diverse. E' la fortuna e la maledizione di questo mondo (come se di mondi ne conoscessi infiniti). Perché ballare in sala, alla lunga, annoia e sfianca; mentre ballare su un filo sospeso nel vuoto aiuta a tenere alta la concentrazione e a non addormentarsi.

giovedì 5 giugno 2008

L'arcobaleno si fa retta

Avevo iniziato a leggere L'arcobaleno della Gravità (Gravity Rainbow by Thomas Pynchon), ma alla fine ho dovuto ammettere a me stesso di non trovarmi nel momento adatto per leggere un libro del genere. Era da molto che non mollavo un libro sul comodino, o lo nascondevo da qualche parte in casa, per evitare che in qualche modo lui mi "guardasse" sconsolato e mi pregasse di riprenderlo in mano. Prima lo facevo molto più spesso, ma da qualche anno a questa parte avevo imparato a scegliere i libri con una certa regolare coscienza su ciò che mi sarrebbe potuto piacere e ciò che invece di sicuro non mi sarebbe piaciuto.
Questa volta però è un altro discorso. Non è che L'arcobaleno della Gravità sia un brutto romanzo, o non mi sia piaciuto, anzi. Per le quasi 200 pagine che ho avuto il piacere di gustarmi devo dire che era davvero molto interessante, soprattutto per i fantastici e misteriosi sentirei di parole in cui ad ogni capoverso Pynchon riesce ad accompagnare il lettore. Il fatto è un altro: in questo periodo (fatto di casini vari, decisioni e indecisioni, dubbi, perplessità, situazioni che non riesco a capire e altre che invece con impensabili voli pindarici cerco di spiegare) l'arcobaleno non era il libro giusto. Quando l'ho aperto per la prima volta ho desiderato fortissimamente che lo fosse; ho strizzato gli occhi e con la mente ho pregato chissà chi affinché in quelle pagine trovassi ciò che stavo cercando. Ma già dalle sue dimensioni, dal suo carattere piccolo e da qualcos'altro che all'epoca non mi saltò all'occhio, dovevo capire che quello si sarebbe rivelato un semplice buco nell'acqua.
I libri hanno dei periodi. Ogni romanzo va letto in un determinato tempo; un tempo che è l'intrecciarsi del tempo del libro e del tempo di chi lo deve leggere. E' difficile, è un po' come due rette che si incontrano in un solo punto. Un libro va letto quando queste due rette si incontrano. La linea dell'arcobaleno correva dritta, mentre la mia si attorcigliava su se stessa. Un giorno o l'altro riprenderò in mano quel grosso volume grigio della Bur, rileggerò le quasi 200 pagine che ho già letto, e magari ricorderò questo primo tentativo, questo primo approccio andato male. Magari sorriderò: l'avevo invitato a cena, l'arcobaleno, e lui si è presentato pure al ristorante, vestito di tutto punto pronto per una perfetta serata romantica a lume di candela; ed invece sono stato io a non farmi vivo, a non sedermi davanti a lui, e a non chiacchierare, aprirmi in lui, guardandolo negli occhi.

mercoledì 4 giugno 2008

Maggio 2008


"Oggi ho catturato un fauno, e mi sono sentito nel giusto."

Edward S. Portman