giovedì 5 giugno 2008

L'arcobaleno si fa retta

Avevo iniziato a leggere L'arcobaleno della Gravità (Gravity Rainbow by Thomas Pynchon), ma alla fine ho dovuto ammettere a me stesso di non trovarmi nel momento adatto per leggere un libro del genere. Era da molto che non mollavo un libro sul comodino, o lo nascondevo da qualche parte in casa, per evitare che in qualche modo lui mi "guardasse" sconsolato e mi pregasse di riprenderlo in mano. Prima lo facevo molto più spesso, ma da qualche anno a questa parte avevo imparato a scegliere i libri con una certa regolare coscienza su ciò che mi sarrebbe potuto piacere e ciò che invece di sicuro non mi sarebbe piaciuto.
Questa volta però è un altro discorso. Non è che L'arcobaleno della Gravità sia un brutto romanzo, o non mi sia piaciuto, anzi. Per le quasi 200 pagine che ho avuto il piacere di gustarmi devo dire che era davvero molto interessante, soprattutto per i fantastici e misteriosi sentirei di parole in cui ad ogni capoverso Pynchon riesce ad accompagnare il lettore. Il fatto è un altro: in questo periodo (fatto di casini vari, decisioni e indecisioni, dubbi, perplessità, situazioni che non riesco a capire e altre che invece con impensabili voli pindarici cerco di spiegare) l'arcobaleno non era il libro giusto. Quando l'ho aperto per la prima volta ho desiderato fortissimamente che lo fosse; ho strizzato gli occhi e con la mente ho pregato chissà chi affinché in quelle pagine trovassi ciò che stavo cercando. Ma già dalle sue dimensioni, dal suo carattere piccolo e da qualcos'altro che all'epoca non mi saltò all'occhio, dovevo capire che quello si sarebbe rivelato un semplice buco nell'acqua.
I libri hanno dei periodi. Ogni romanzo va letto in un determinato tempo; un tempo che è l'intrecciarsi del tempo del libro e del tempo di chi lo deve leggere. E' difficile, è un po' come due rette che si incontrano in un solo punto. Un libro va letto quando queste due rette si incontrano. La linea dell'arcobaleno correva dritta, mentre la mia si attorcigliava su se stessa. Un giorno o l'altro riprenderò in mano quel grosso volume grigio della Bur, rileggerò le quasi 200 pagine che ho già letto, e magari ricorderò questo primo tentativo, questo primo approccio andato male. Magari sorriderò: l'avevo invitato a cena, l'arcobaleno, e lui si è presentato pure al ristorante, vestito di tutto punto pronto per una perfetta serata romantica a lume di candela; ed invece sono stato io a non farmi vivo, a non sedermi davanti a lui, e a non chiacchierare, aprirmi in lui, guardandolo negli occhi.

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