martedì 5 giugno 2007

Tra Foto e Soffitta

Ricordi?
La luna. Le stelle. L’aria che le rendeva più belle. L’odore di erba tagliata da poco. Le mani incrociate dietro la nuca. Il cielo notturno sopra una piccola collina. La neve che doveva esserci e che invece non c’era. Il freddo che avrebbe dovuto avvolgerci. E che al contrario si allontanava.
Le mille parole da dire. E le mille e una che poi non sono mai state dette. Il girare la testa verso destra. Alzare un po’ la schiena e appoggiarsi sul gomito. Avvicinarsi. Sentire la voce degli altri girare per la valle. E stringere gli occhi dentro le palpebre.
Le partenze la sera. Le nove e le chiavi di casa in tasca. Una pizza. Un locale squallido e tante risate. Le chiacchiere. I sorrisi. I minuti che passano. La strada. Il traballare tra un muro e l’altro.
Essere ubriachi: saperlo e non sentirne il peso. La testa, leggera. Lo stomaco pieno. E i pensieri altrove.
Le paste calde alle tre del mattino. La crema che ti cade sui pantaloni. Le tue bestemmie ed ogni tuo tipo di imprecazione: la cosa più divertente che ci possa mai essere.
L’alba. Il chiarore di un sole che non si è ancora deciso a sorgere. I suoi raggi che si affacciano timidamente all’orizzonte. L’orologio che ticchetta: le 5:30.
I saluti. I motori che ripartano. Il riaccompagnare tutti a casa. Fare da tassista, una volta per uno. E poi sentire il rumore della tua chiave che ritorna nella serratura di casa.
Il silenzio. Le scarpe tolte dopo appena due passi, e il muoversi lento. Arrivare in cucina e aprire il frigorifero. La luce che illumina la stanza buia. Il rovistare tra tutti quei cartocci del supermercato. Mangiare qualcosa aspettando che ti prenda sonno.
E poi il letto. Le coperte. Il cuscino sotto la testa. E il dormire beato come un piccolo angioletto.
Ricordi?

Si, ricordo.
Se mi impegno riesco addirittura a ricordare di quando siamo andati in spiaggia alle tre di notte, con alle nostre spalle le luci della passeggiata che si confondevano con la confusione dei locali, mentre di fronte a noi il mare scuro, che sembrava la fine del mondo.
Di quelle sere ho in testa tutto quanto possa entrarci. A partire dalla lista dei pub che visitavamo, fino ad arrivare alle notti peggiori accompagnate dalle nostre sbornie.
È difficile dimenticare quanto sia stato bello, e a volte anche esaltante, sentire così tanta felicità e allegria accarezzarti la pelle, quasi fosse un sospiro leggero. È difficile anche solo pensare che un giorno si possa dimenticarlo.

E allora, cosa mi dici?

Allora ti dico che l’altro giorno ho rimesso a posto la soffitta. Tutte le nostre vecchie cose si stavano ammassando lì e non era certo un bel vedere. Scatole, scatoloni e cianfrusaglie varie avevano riempito ogni angolo della stanza. C’era una tale confusione che sembrava che un uragano avesse passeggiato per casa.
Ho deciso per questo di prendermi un fine settimana intero per mettere un po’ in ordine. E proprio dentro una di quelle scatole ammassate una sopra l’altra, nascosta tra cartoline e ricordi di viaggi vari, ho trovato una foto di Alice.
Niente di particolare, siamo solo io e lei appoggiati ad un albero. Non so neppure dove, ne quando. Una semplice foto come se ne vedono tante in altrettanti album anonimi.
All’inizio pensavo che non mi avrebbe fatto nessun effetto. Nella mia ingenuità pensavo che in fondo era passato talmente tanto tempo che non mi avrebbe fatto più la stessa impressione. E invece, è bastato un solo sguardo per farmi cadere un’altra volta.
Mi sono seduto per terra, facendomi spazio tra tutti i fogli che avevo deciso di buttar via, e ho fatto una piccola pausa. La testa aveva cominciato a girare non appena mi ero reso conto di stare a guardare una foto di Alice, e tutte le forze mi avevano ad un tratto abbandonato: non aveva tanto senso continuare. Mi dispiace ammetterlo, perché tra me e me pensavo di aver superato questa fase ormai da tempo, ma avevo bisogno di gustarmi quella foto.
(Sospiro)
A volte è buffo vedere come funziona la memoria: mi ricordavo alla perfezione della passeggiata in riva al mare alle tre del mattino, di ogni singola bevuta che ho rivomitato nel cesso di casa dei miei; ma avevo completamente rimosso Alice. Forse è anche per questo che credevo di esserne guarito.
Fino ad allora Alice rimaneva soltanto un nome, il più astratto possibile dalla realtà. Poco importava che fosse presente anche lei a quella passeggiata in spiaggia: per me Alice non era un volto, ne tanto meno un corpo.
Rivederla in quella foto, così allegra e bella in una semplice posa da ragazza qualunque, è stato il classico colpo allo stomaco che non ti aspetti.
Sono rimasto per un quarto d’ora immobile, come incantato dal suo sguardo, a riassaporare ogni centimetro di lei: come un tossico che dopo un lungo periodo di astinenza si fa una nuova dose.
Non riuscivo a staccare gli occhi di dosso da quella fotografia. Mi perdevo tra le pieghe che la sua bocca formava agli angoli delle labbra mentre sorrideva; tra la linea delicata e regolare delle sue sopracciglie leggermente inarcate.
Non so cosa mi fosse successo, ma era come se mi fosse stata preclusa ogni attività mentale che non fosse quella di pensare a lei. Ogni cosa che mi passava per la mente aveva qualcosa a che fare con lei. Poteva essere la sua faccia, oppure il ricordo della sua voce; ma comunque pur sempre qualcosa di suo.
Per quel breve ma intenso periodo, durante il quale non ero ancora stato assalito dalla paura né tanto meno dall’angoscia, quella foto mi ha come spalancato le porte del paradiso.
Ho preso la foto e l’ho riposta in un cassetto che sapevo Valentina non avrebbe mai aperto. Un po’ per nostalgia, un po’ perché non ne avevo il coraggio, ho deciso di non buttarla via.
Forse ho sbagliato. Avrei dovuto accartocciarla, o farla in mille pezzettini minuscoli, e buttarla nel cestino. Ma non ci sono riuscito.
Così per un paio di notti mi sono alzato verso le due, stando attento a non svegliare Valentina, e a piedi nudi sono andato in soffitta. Non riuscivo a dormire e questa mi è parsa la scusa migliore per rivedere di nuovo Alice.
Ho aperto il cassetto, ripreso in mano la foto e mi sono seduto sul vecchio divano che ormai arreda la mansarda.

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