mercoledì 23 novembre 2011

Melancholia


Addio dogma, fin dalle prime bellissime immagini - una specie di danza al rallentatore di stupefacente empatia - tanto per essere chiari. Lars Von Trier abbandona tutte le restrizioni autoimposte e si abbuffa in una seconda parte piena di effetti speciali, tanti da creare un pianeta intero.
Per una volta le parti si invertano, con grande genio del regista: la catastrofe arriva dallo spazio, non c'è via di fuga, non c'è modo di scappare e salvarsi, è inevitabile, ma non arriva come spesso ci viene indicato, come per i dinosauri, non è un gigantesco meteorite a schiantarsi sulla Terra e rendere la vita impossibile. E' Melancholia, un pianeta fatto pare di cristallo, a venirci addosso, a distruggerci, ma non schiantandosi sulla Terra, siamo piuttosto noi a schiantarci dentro di lui. Melancholia è gigantesco, enorme, tanto che il nostro pianeta viene letteralmente mangiato, ci finisce dentro come un sasso lanciato dentro uno stango. Ed è qui la figura allegorica: Melancholia - ricorda qualcosa? - è più grande di quanto tutto il mondo possa offrire, è più grande e grande, sempre più a ingrandirsi, avvicinandosi alla terra diventa più grande, si autoalimenta.
Per arrivare a questo si passa da una festa di matrimonio. Justine e Michael, sposi novelli, si dipanano tra i mille obblighi dei neo coniugi alle prese con invitati, ospiti, parenti, e riti. Sembra tutto normale, fino a quando qualcosa non si incrina, il piano sul quale si muovono, ma soprattutto si muove Justine, si piega in modo pericoloso, e lei scivola in comportamenti anormali, dove la normalità è una normalità psichica.
E' la costruzione del personaggio, apatica, a tratti aggressiva, che spinge il neo sposo a farsi da parte dopo appena una notte, non consumata, di nozze. L'unica a sopportare Justine è la sorella Claire, che dà il nome alla seconda parte del film.
Claire è il personaggio su cui il regista incentra l'avvicinarsi di Melancholia alla terra, portandosi dietro tutta quanta la famiglia: il figlio, il marito, e anche Justine, che invita a vivere a casa sua per cercare di aiutarla a uscire dalla sempre più profonda depressione. Via via che Melancholia si avvicina, Justine pare migliorare, seppur mantenendo degli atteggiamenti altamente strani, ma troppo tardi Claire si avvede del motivo vero per cui questi miglioramenti avvengono. Significativa sotto questo aspetto è la scena notturna in riva al fiume, nella quale Justine si sdraia e si lascia bagnare dalla luce sempre più intensa di Melancholia. Arrivati a questo punto Justine benedice il pianeta di cristallo, lo venera come una divinità, proprio perché rappresenta il termine del percorso della sua depressione, la fine.
Non a caso sarà proprio lei a comportarsi normalmente quando ormai tutto sarà spacciato; il figlio di Claire non avrà paura perché forse non ha ancora avuto abbastanza tempo per maturare dentro di sé il concetto di paura; Claire diventerà isterica oltre ogni misura; il marito di Claire opterà per una soluzione drastica abbandonando qualsiasi tipo di amore.
Un film capace di fare ragionare, riflettere. Di tutta la tristezza infinita che lo accompagna e che lo precede, però non ne ho trovata tutte queste tracce. Doveva essere la pellicola più triste del regista, per sua stessa ammissione, ma non mi pare così tanto accentuata. Antichrist, a posteriori, era molto più difficile da vedere, per via delle ferite che ti lasciava e per lo spazio angusto nel quale ti lasciava.

3 commenti:

william dollace ha detto...

A parte che Lars ha provato sollievo alla fine della produzione e comunque tristezza secondo me non è il termine giusto. Il termine giusto è proprio Melancholia, un pianeta che "contiene" tutta una serie di termini che non riesco a dividere l'uno dall'altro..

ciao..

w.

Edward S. Portman ha detto...

benritrovato william.. speravo leggessi questa cosa qua

Anonimo ha detto...

benritrovato anche a te..