mercoledì 7 novembre 2012

Molto forte, incredibilmente vicino

Prendere un libro di Safran Foer e portarlo al cinema è sempre un gran brutto lavoro. Lo può testimoniare Liev Schreiber, regista di Ogni cosa è illuminata. Perché oltra alla storia, la cifra stilistica maggiore dell’autore statunitense risiede in gran parte nella prosa, nell’invenzione del raccontare. Trasportare quindi sullo schermo quello che è la personale riflessione dello scrittore sui fatti dell’undici settembre, sembrerebbe più un suicidio che non un semplice lavoro. Soprattutto perché se sul libro l’attentato alle torri gemelle riesce a rimanere sullo sfondo, a fare un po’ da colonna sonora di tutta la vicenda, nella pellicola l’immagine degli aerei che vanno a schiantarsi sul World Trade Center (anche se per tutta la durata del film l’unica immagine intera della cosa è solo quella del pennacchio di fumo ad uscire da un grattacielo, in lontananza) non può che rimanere bene impressa nella retina dello spettatore, rischiando in questo modo anche di diventare troppo ingombrante per il resto delle vicende. E se nel libro la tragicità della storia veniva in qualche modo diluita nel numero delle pagine, trattando l’atto terroristico dell’undici settembre con un tratto delicato che giustamente non calcava troppo la mano, in modo misurato, qui, forse a causa di una certa durata (129') che la pellicola non doveva sforare, in alcuni punti risulta esserci un surplus di dramma, un eccesso di effetto lacrima che ti scombussola da dentro senza farti però uscire davvero la suddetta lacrima. Molto probabilmente è il risultato naturale della visione di un fatto tragico realmente accaduto e che ha toccato nel profondo la sensibilità di chiunque, ma proprio per questo il libro di Safran Foer era arduo da rileggere in chiave cinematografica.

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