lunedì 19 gennaio 2015

M.

Più riguardo a M. 
Di tanto in tanto, durante quelle contemplazioni, Jakob sentiva di essere vicino alla soluzione, ma proprio quando vedeva la chiave sotto i suoi occhi, quando gli sarebbe stato sufficiente trascriverla per farla definitivamente propria, lo prendeva un’eccitazione tale che sprovava un senso di vertigine, le mani gli tremavano e la vista si annebbiava. Spesso quello stato di Ebrezza durava soltanto un attimo, ma la conseguenza era sempre la stessa: che quando riassumeva il controllo non c’era più niente davanti a lui.

Col tempo aveva imparato a prepararsi al peggio, ovvero che il mondo funzionasse in base a leggi d’improvvisazione per le quali non era affatto portato.

La natura umana – quella occidentale naturale, perlomeno – è afflitta dalla deleteria inclinazione di pensare al tempo come a una bella linea retta dove le cose possano tranquillamente sistemarsi secondo la sequenza mai-prima-ora-dopo-mai. Grazie a questa retta, si è instaurata la convinzione che a un atto-o-evento dalle conseguenze negative sia possibile posporre un nuovo atto-o-evento che prevenga o ripari i danni del precedente. Come se la risposta a una macchia sul vestito non sia il detersivo, ma il vestito pulito. Ci può essere un’idea più malsana del pensare di porre rimedio a un danno soltanto con la pretesa che, dopo il danno, le cose torneranno come prima?

Tutti sanno quanto impossibile sia non innamorarsi quando ci si lascia un po’ andare. Anche soltanto un po’.

Si dice che l’uomo stabilisca di custodire un’anima nel momento in cui si rende conto di essere in un corpo.

De Kaard, come tutti gli essere soventemente noti come Noi, passerà dal bambinesco vivere all’adulto esistere tutto d’un colpo, senza transitori paradisi generazionali.

Non basta evitare di essere paranoici per non avere nemici.

Perché alla lontananza delle anime non c’è rimedio e il fare l’amore spesso fa solo le anime più lontane tra loro, tanto lontane che arrivano ad aver paura di guardarsi l’un l’altra, tanto lontane da studiarsi di sottecchi, tanto lontane da odiarsi quando capita loro di avvicinarsi.

Passò il tempo di quel silenzio a contare gli anelli della colonna vertebrale di lei per vedere se li aveva tutti, ma riuscì a individuare solo una quindicina di sporgenze tonde su quella schiena bianca quasi come le pareti del mondo.

Tommaso Pincio

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