giovedì 9 giugno 2011

Eternal Sunshine

tu mi lasci e poi io non ti cancello, perché lo splendore, terrore, di una mente così affina, che mi affila mi strofina che mi sospira, frasi dolci nelle orecchie piene di confetti, mi prende le guancie e le fa diventare rosse, passando il pollice a smacchiare via tutte le lacrime perdute amare, di chi crede di poter recuperare, arraffare, afferrare, affannare, guardare il mondo da una finestra, dire bello questo bello quello senza sentirsi un po' spegnere dentro. e invece urlare, spergiurare, gridare forte, più forte del vento: CHE NE HO LE PALLE PIENE DI TUTTO QUESTO TUO CONTINUO LAMENTO, che l'aria è troppo fredda, che l'aria è troppo calda. sparisci ti prego, non farmelo ripetere. vieni qui e abbracciami, stringimi forte, che ho paura di tremare.
nelle passeggiate distratte vicino alle bancarelle del lungo mare, facciamo finta di niente, ci mescoliamo tra facce tristi e facce allegre, facce così inutili e scostanti. ricordo ancora quando avevamo l'armadio tutto sparso per il pavimento, e ripetevamo di pulire, di ordinare dei cassetti, per corrispondenza, via internet o da un vecchio catalogo degli anni ottanta. riordinare i pensieri, i palinsesti, i sentimenti, quelli seri, mettere a posto la felicità - non se ne ha mai abbastanza e quando avanza non avanza, quando la cerchi non la trovi, finisce sotto il letto con i corpi degli uomini neri, i cadaveri dei nostri sogni, quelli lasciati cadere dal cuscino, quando andavamo a dormire con i capelli ancora bagnati, la salsedine intrecciata nei tuoi bagni sconfinati, o la pioggia fitta senza ombrello, correvamo per strada alla ricerca di un riparo: un porto, una tettoia, una cazzo di sentinella che ci scortasse fino alla fermata degli autobus più vicina. le macchine della polizia, le cisterne dei pompieri, le volanti dei carabinieri. ci nascondevamo non appena sentivamo una sirena, io Ulisse con le mani legate attorno a un cartello stradale, tu sorridevi, solare. sembravi vera, sembravi sincera, sembravi crederci fino in fondo, anche durante le nostre crisi e critiche più profonde. ti tappavi gli occhi, coprivi le orecchie. non volevi ascoltare niente e negavi l'evidenza. la verità, dicevano gli altri, è che siete due mondi distanti, così lontani che quando vi avvicinate troppo la gravità vi fa male, vi attraete a vicenda e vi spingete via allo stesso tempo. 'fanculo la fisica, dicevi nei tuoi momenti più leggeri, la chimica, 'fanculo la matematica dai segni distorti dei nostri sentimenti strambi, addizioni e sottrazioni per calcolare i buonumori, capire quale fosse il giorno migliore per chiederti di uscire, per poterti incontrare, anche solo per poter semplicemente parlare, del più e del meno, del tempo grigio piovigginoso, uggioso, sei meteoropatica ti ripetevo con un filo di voce, impaurito. non sapevo come l'avresti presa, questa ennesima definizione segreta, di te, vista ai miei occhi, non finivo mai di spiegarti.

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