lunedì 27 gennaio 2014

Non so niente di te

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Forse sentivo il bisogno, per veder meglio, di allontanare gli oggetti e poi di avvicinarli.

Era il preferito, lui lo sapeva benissimo, non c’era bisogno di tante parole. E crescere con questa certezza gli aveva dato qualcosa d’impagabile nella vita, che ben pochi ricevono: la fiducia che, comunque andassero le cose, per quanto il mondo fosse vasto e complicato, c’era una persona, foss’anche quella sola, che tra tutti i milioni e milioni di esseri umani, senza condizioni né ricatti, lo amava più di tutti, lo anteponeva a qualsiasi altro. Che meraviglia.

Ecco, è appunto questo: nessuno può dire niente perché nessuno sa mai niente! Lo capisci questo?

Così va il mondo, a volte. Che quel che uno s’aspetta non succede, e quel che non ci si aspetta invece sì.

Si sentiva bene, leggera, come quando nuotando ci si ferma a fare il morto e ci si lascia galleggiare, così, per il gusto di sentire che il corpo si abbandona, ma l’acqua lo sostiene.

Amava talmente quel ragazzo che pensava di sapere tutto di lui. Come se l’amore fosse conoscenza… che ingenuità!

Non capiamo mai bene coloro che amiamo, proprio perché li amiamo. Molto più facile capire chi non amiamo, chi ci è più distante, magari antipatico. Lì riusciamo ad avere un occhio lucido perfetto. Mettiamo a fuoco meglio, quando il cuore non frappone filtri al nostro sguardo diretto.

Con quanti filtri davanti agli occhi vediamo gli altri? E un essere tanto amato, siamo in grado di vederlo per quel che è, senza rivestirlo degli abiti che noi vorremmo avesse?

Non voleva più aver fretta, andar veloce. L’aereo ti sposta, ti cambia di luogo che manco te ne accorgi, non ti dà modo di capire, di renderti conto, di sentirla dentro di te, la vita che ti passa. Lui voleva accorgersene, invece, della vita. Erano troppo belle le ore lunghe. Non saper che fare, mettersi su un sedile, distendere le gambe, chiudere gli occhi. O tenerli aperti a guardare la gente, leggere, camminare un po’, andare fuori, fumarsi una sigaretta, prendere qualcosa al bar. Le sale d’attesa. La bellezza estenuatane delle sale d’attesa. Oh, se la vita fosse questo: una gigantesca sala dove aspetti, e intanto giri, e fai, e pensi. E il tempo passa, e tu te lo prendi.

- E… come passa il tempo?
- È lui che passa, non io.

Se mi fai una domanda, lasciami il tempo di pensare, no? Cos’è, una gara al cronometro? Cosa vuoi da me, che capisca le cose, che ci pensi, o solo che sia veloce?

Perché i libri sono il tempo. E leggere, poi, è solo questo: vedere il tempo mentre passa.

Si era commossa di fronte a quel signore distinto che non trovava le parole, che non finiva neanche una frase. Pensò che era una cosa bella, un uomo che non finisce le frasi. Vuol dire che ha dentro un grumo di dolcezze che non si sono ancora sciolte.

Paola Mastrocola

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