mercoledì 22 luglio 2009

Interprete

Quando mi metto a sedere non è la prima volta, ma la seconda. Lo capisco perché sono sdraiato, in una specie di rivisitazione cosciente di una memoria descrittiva della situazione generale. Lo capisco perché sento il morbido sotto la schiena, i cuscini rigonfi tra le cuciture e bolle come fossero gommapiuma ricoperta di pelle rossa sangue: non quello acceso dello splatter di finzione, ma quello scuro, caugulante, dal sapore reale come un taglio appena fatto. Lo capisco perché sono solo io a parlare: non c'è dialogo, solo la mia voce a riempire la stanza, a tagliare in due quella lama di luce che entra dalla finestra quadrettata. (La prima volta, non me la ricordo bene, devo ancora imprimerla a forza, non nella mente, ma sulla carta; ma quel che ho - brevi immagini sfocate e appena tratteggiate - dicono che io mi sedetti su una sedia dura, in posizione frontale rispetto a chi mi stava ascoltando, e non solo. Io parlavo, lui ascoltava, poi parlava lui, io ascoltavo. La differenza tra conversazione e monologo.)
Sento il sole farsi sempre più tenue, meno eccessivo, nascondersi dietro le linea disegnata dall'orizzonte. Di colpo mi trovo spostato da un punto all'altro, dal chiuso all'aperto, come se la casa in cui ero seduto mi fosse stata cancellata via tutto attorno; oppure fossero crollati i muri, in silenzio, e io non me ne fossi accorto. Ma da essere seduto mi trovo invece in piedi, chiuso dentro una giacca a pararmi dal freddo e dal non vento. Mi trovo nel parcheggio delle mie sere, con le persone che mi sciaquano l'aria contro, e io fermo immobile come una statua. Sento i polpastrelli chiudersi su superfici levigate, e il passaggio di un regalo da una mano all'altra si perde in una concezione del tempo non del tutto normale.
Le azioni prendono forma sotto ritagli indipendenti. Il loro legame viene snaturato del tutto, per poi essere di nuovo costruito ma sotto luci diverse: prima quelle dei lampioni - alte quasi a toccare il cielo, se tendo il collo all'indietro per guardare in alto le ginocchia si flettono e rischio di sdraiarmi in terra - poi quella della cucina, più diffusa nella stanza a far vedere oggetti che al buio non esisterebbero.
Il problema, quando mi siedo per la seconda volta, è che vedo troppa gente ridere, o sorridere. Devo trovare un modo, per cucire queste labbra in senso orrizzontale.

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