giovedì 24 ottobre 2013

Abbraccio

Stanotte mi volevi parlare ma io non c’ero. Quando ti ho risposto era tardi ed eri ormai arrabbiata, chiusa a riccio per difenderti dai miei tentativi di avvicinarti. Sei scappata, chissà dove, senza dire a nessuno quando saresti tornata. Sono venuto a cercarti per gole sconosciute che non erano le nostre. Gridavo il tuo nome e la mia voce si moltiplicava in echi lontane, senza ricevere però una tua risposta. Mi bagnavo, cadevo scivolando sulle rocce muschiose che usavo come strada lastricata per arrivare da te, e finivo culo a terra dentro il torrente gelido che scorreva tra le due pareti verticali. Non sapevo per quanto tempo avrei potuto continuare a gridare e camminare, camminare e cadere, cadere e rialzarmi, fino a quando non mi sono svegliato. Sembrava un’eternità, e altrettanta sembrava poter trascorrere prima di trovarti. Sei brava a nasconderti quando non vuoi farti vedere. Anche nei sogni ti perdi in luoghi dove non riesco a spingermi, neppure volando. Ed è il vagare, così, quasi senza meta, che rende la notte, o il giorno, tanto pesante da sopportare. Ogni minuto, ogni secondo. Un incedere costante che passa attraverso il collo ristretto di una clessidra. E passa, trascorre. Io ti chiamo, e tu non rispondi. Ti chiamo, ti chiamo. Urlo fino a lacerarmi da dentro la gola. Non importa che sia sogno, o realtà. Io ti chiamo e non rispondi. Ti chiamo e continuerò a chiamarti.

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