giovedì 24 settembre 2009

Questa prima foto

E' bello avere queste foto, a volte, per poterle prendere in mano e rivedere, ricordarsi di te, di noi, di quello che abbiamo fatto e di quello che è successo, e ci è successo. Ti ricordi quando ti dissi che avrei voluto avere un album di polaroid con tutti scatti di persone sorridenti? Doveva essere quel giorno, con la luce che entrava tranquillamente dalla finestra della camera. Uno accanto all'altra, entrambi sdraiati sul letto, con la tua testa sul mio braccio steso aperto. Guardavamo il soffitto senza dire niente, come se su quel bianco intonacato dovesse passare da un momento all'altro un film stupendo. Tu eri nuda, completamente se non fosse stato per quel braccialetto fatto a mano di stoffa rossa. Era un regalo di una tua amica d'infanzia, quella che prima di diventare ragazza avevi scelto come migliore: sorella della vita, dicevi. Con le scuole, i primi amori, le università, i viaggi poi vi siete perse di vista e non vi rivedevate mai se non per strada di sfuggita, senza avere il tempo di fermarvi neppure due minuti a raccontarvi cosa vi fosse capitato; ma se porto questo braccialetto, dicevi, posso credere che in fondo amiche lo siamo ancora.
Eri nuda, si, quel giorno. Nuda ma spontanea come sempre, di quella nudità tutta tua che per molto tempo a me piacque guardare in silenzio senza avere il coraggio di toccare, quasi per paura di rovinarla. La notte che per la prima volta ci trovammo dentro un letto sfatto, sotto le lenzuola dopo un temporale che ci aveva bagnati anche le ossa rendendole come fette biscottate inzuppate nel latte, ti ricordi? La festa di compleanno di qualcuno che poi abbiamo perso per strada, in quella baita in montagna dove non c'erano abbastanza materassi per tutti noi sconosciuti. Formammo dei drappelli che ci divisero dal resto, e noi finimmo insieme, soli in quella camera minuscola. Dobbiamo spogliarci, dicesti te, altrimenti ci ammaleremo, diventeremo creature acquatiche e noi, come sai, non abbiamo le branchie per respirare sott'acqua. Ti togliesti il maglione rosso mentre parlavi, sfilandolo dalla testa come fosse pelle morta, rimanendo con una sottile canottiera bianca, tutta bagnata, appiccicata addosso quasi non ci fosse neppure. Ti prendesti un piede e sfilasti prima uno scarpone, poi l'altro. Via i bottoni che tenevano insieme i pantaloni, calandoli alle cavoglie e uscendone quasi con un passo di danza. Dai, sbrigati! dicesti a me ancora grondante nella maglia larga e nei jeans fradici. Cominciai a spogliarmi, come in una cascata al contrario dove vedevo passare la lana blu scura sopra gli occhi miei. Quando riemersi con una boccata d'ossigeno puro, nella stanza dove eravamo, tu a due passi da me con solo i calzini a righe gialle arancioni verdi e blu tirati fino sotto il ginocchio, le mutande bianche finite di sbieco nel toglierti i pantaloni, il reggiseno bianco, semplice e leggero. La canotta era finita in un angolo, appallottolata sopra il maglione e le altre cose. Le tue mani sparivano dietro la tua schiena, lavorando su un nodo meccanico che scogliesti facilmente senza guardare o sforzarti minimamente. Rimasi qualche attimo in pausa, io, bloccato nel normale scorrere del tempo, a guardarti in quella luce semibuia che la lampada sul comodino lanciava con timore; restai senza respiro per secondi e secondi che passarono su secondi e altri secondi, prima di vederti flettere il busto in avanti, ingobbirti leggermente per far scivolare le spalline del reggiseno dalle spelle sugli avambracci, poi sui polsi, stretti nelle mani e poi lanciati via insiema a tutto quello che di cucito c'era attorno.
Le nuvole non furono mai così bianche, soffici, voluttuosi; galleggiavano in un cielo terso e mite, di un celeste degli oceani più incontaminati e protetti da barriere coralline lunghe chilometri.
Persi gli attimi delle mutande, i gesti rapidi e le fruste dei calzini; ma ti vidi come un fantasma lasciare una scia di colore sfuso mentre andavi verso il letto, alzare le coperte e infilarti tremante sotto. Vieni, presto. Dicesti: dobbiamo riscaldarci.
Eri nuda come quella volta, così nuda che della tua nudità volevo rincalzarmi gli occhi e non averne mai abbastanza.
Vorrei avere un album pieno zeppo di fotografie di persone che sorridono.
Cosa?
Foto sorridenti, dissi sfilando il braccio da sotto la tua testa. Corsi verso la borsa e presi la macchina nascosta sotti i libri, i quaderni, le guide turistiche, i panini lasciati a metà, le pasticche per il mal d'auto, le pasticche per il mal di treno, le pasticche per il mal di testa, per il mal di stomaco, le pasticche per il buonumore e quelle per le giornate piovose. Tornai a letto e ci montai sopra, ritto in piedi sfiorando il soffitto. Ti sedesti rannicchiando le gambe sotto il culo, alzasti lo sguardo in alto verso l'obbiettivo e me.
Non si vedono i tuoi seni, se non leggermente uno nascondersi un poco sotto il braccio. Il braccialetto fuori fuoco in fondo si appoggia sopra ad un ginocchio chiuso. Si vede la tua coscia bianca andare via via curva verso la schiena; l'altra coscia con quella sua piega gentile chiusa sul polpaccio. Si vedono i capelli scuri nasconderti la fronte in frangia, appoggiarsi scompigliati sulle spalle magre; i tuoi occhi scuri con il riflesso della luce proveniente dalla finestra; le lentiggi che scivolano giù dal naso lungo le tue guance; e il tuo sorriso che si allarga sul mento e spinge lateralmente le labbra, lasciando lo spazio per i denti, formando quell'anatomica sacca piena che separa lo spazio degli occhi, lo spazio della bocca, e delimita lo spazio dove baciarsi per la buona notte.
Fu questa la prima foto che ti feci. La prima foto che misi dentro l'album. Ricordi?

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