lunedì 31 gennaio 2011

Lavarsi via lo sporco

da bambino sua madre glielo ripeteva di continuo: lavati bene la faccia, stropiccia con forza, non limitarti a buttarti addosso dell'acqua, altrimenti è solo una perdita di tempo. è strano come questi piccoli rituali ormai acquisiti, sotto i quali si pensa non ci sia niente, nascondino invece grandi verità alle quali non abbiamo mai dato peso. lo si scopre di solito nella tarda età, quando non si è più giovani e la pelle tende a perdere elasticità, a non rimanere bella tirata sopra le ossa, ma a cadere, formare delle grinze, delle pieghe. quando si aggrotta la fronte e quest'ultima non torna a essere distesa come prima, anche se abbiamo smesso di essere corrucciati. si formano delle specie dei solchi ondulati, quasi fosse un mare arrabbiato visto dal davanti mentre incessante spinge i propri cavalloni uno dietro l'altro a bagnare la spiaggia. alcuni le chiamano rughe. è dentro di esse, nella loro profondità che lo sporco si nasconde e si insidia. per questo bisogna davvero lavarsi il viso con forza, non tanto per fare, bensì per arrivare più in fondo possibile, stanare tutti i residui di sudicio e pulirli via.
lui se ne accorse una mattina, quando guardandosi allo specchio notò delle chiazze scure tutto attorno agli occhi. erano le cose che aveva visto fino ad allora e che aveva lasciato si accumulassero lì, appena sotto le ciglia. c'erano cose che aveva visto e aveva deciso di ricordare, allora quelle le aveva assorbite, facendole entrare dentro il cervello passando dalla cornea, la pupilla, la retina. ciò che voleva ricordare risiedeva tranquillo in una determinata zona del suo cervello, quella adibita alla memoria. il resto - perché non tutto quello che vedeva voleva ricordarselo, oppure non lo reputava degno di essere conservato - gli rimaneva all'esterno, proprio sotto gli occhi, e se non lo lavava ogni giorno come diceva sua madre alla fine si seccava, diventava duro, trasformandosi in quelle antiestetiche crosticine dal tipico colore malaticcio che si era visto addosso sotto forma di chiazze scure quando si era guardato allo specchio.
la stessa cosa succede con le parole, le conversazioni, le chiacchiere. queste passano attraverso l'orecchio per arrivare al cervello, ma alla fine finiscono sempre nella stessa zona dentro la quale si accumulano le cose viste, almeno le parole che si desidera ricordare. ci sono poi un sacco di discorsi, frasi, ciane, dicerie, concetti che non si vogliono proprio ricordare. capita pure, a volte, che quando le stiamo ascoltando ci domandiamo per quale motivo lo stiamo facendo, se per cortesia o buona educazione o per lavoro, se siamo costretti a rimanere a sentire magari un tizio tutto impettito e posato che parla per più di mezz'ora di argomenti dei quali non ci può interessare assolutamente niente; o magari anche una ragazza o un ragazzo che racconta il suo passato senza che questo faccia scattare in noi una qualche speciale scintilla capace di renderla o renderlo interessante. tutte queste parole si sedimentano in fondo all'orecchio e se anche questo non si pulisce alla fine queste si accumulano talmente tanto da uscire fuori sottoforma di una pappa gialla appiccicaticcia - la stessa che lui trova nelle sue orecchie scavandoci dentro con un dito - che è anche più pericolosa delle macchie attorno all'occhio, perché proprio come succede con un imbuto munito di setaccio, se non lo si lava bene, se non si fa attenzione a tenerlo pulito, c'è il rischio di arrivare a un punto in cui il setaccio è talmente sporco da non lasciare passare più niente, neppure l'acqua, o le parole importanti, le conversazioni interessanti.
infine arriviamo alla pelle, quella morta. si stacca a scaglie non appena lui si gratta con forza un braccio, lasciando dei microscopici puntini bianchi, si trasforma in polvere. bisogna sempre accertarsi di pulire la pelle, tutta quanta, quella del viso, quella del collo, delle braccia, delle gambe, quella attorno alle dita, sul petto; perché anche in questo caso se si lascia accumulare la pelle morta sopra il corpo alla fine non si sentirà più niente, e gli abbracci sinceri, le strette di mano di mani nelle mani, i tocchi leggeri ma sentiti, le carezze così come gli sguardi che ti si posano addosso, non riusciranno a entrarti dentro e riscaldarti. si fermeranno all'esterno, in superficie, bloccati da questa barriera di sporcizia formata da tocchi superflui di altra gente per te insignificante: la pelle morta non lavata.
lui si guardò allo specchio con attenzione quel giorno. si controllò tutto, dagli occhi alle orecchie, pure la bocca, con i denti gialli di tutte le sue parole che gli erano andate a male dentro, marcite, tra incisivi e canini, molari e premolari. doveva pulirsi bene, con forza, grattando via lo sporco come diceva sua madre. questo era il significato vero di ciò che lei gli ripeteva ogni giorno quando era bambino. quelle che reputiamo sciocchezze, o che crediamo lo siano, nascondono sempre grandi verità. siamo spesso noi che non abbiamo voglia di scoprirle, queste verità. chissà quante cose si era perso fino ad allora.

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