martedì 4 gennaio 2011

Se consideri le colpe

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lei con i suoi venticinque anni portati leggeri

Mi ha offerto una sigaretta e l’ho fumata insieme a lui, che fumare insieme era l’unico luogo in cui convergeva quella silenziosa forma di complicità.

Te ti hanno spedito col furgone, dopo averti inchiodato la bara dentro casa e averti lasciato in consegna all’operosa e nerboruta burocrazia delle pompe funebri. I morti hanno cadaveri a tenuta stanga, perché ci sono i sarti che si adoperano a mettere le toppe a tutti i buchi. È lì che si muore veramente, quando anche il corpo non ha più aperture. Ti mettono i tappi per non farti suppurare, perché il corpo smetta di rilasciare all’esterno i propri umori. Poi ti tolgono anche gli odori, i tuoi segnali di fumo, e ti insonorizzano di un olezzo già profumatamente postumo. La cassa te la chiudono quando ancora non ci sei finita dentro, quando finalmente l’ultimo orifizio è infarcito di chissà quale condimento. Tra poco sarai una bara con dentro un’altra vara, una bella matrioska pronta per l’aldilà.

Ti piace Bucarest?, mi ha chiesto Monica sulla terrazza. Le ho risposto No, addossato alla parete, le vertigini che mi calamitavano al muro. Lei mi guardava e rideva, Hai la faccia bianca di paura. Se ne stava appoggiata alla ringhiera di spalle, col sorriso. Chi non ha paura di cadere non ha il pensiero continuo che la ringhiera potrebbe andare giù.

Non è stato facile, sai?, mi hai detto, e io credevo parlasse di te. Così ho annuito come di fronte a una frase detta per circostanza, che finisce per imporre circostanza anche nella risposta.

Mi facevi sempre soltanto domande, mi chiedevi della scuola, dei compiti, di papà, e le risposte erano sempre le stesse, perché ero io che ero rimasto a casa a fare la stessa vita di prima, tu che te n’eri andati via, avevi cambiato tutto.

Ho preso tutto?, ti sei chiesta come ti chiedevi sempre sulla porta, e però quella volta volevi dire tutto per davvero.

Andrea Bajani

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