lunedì 31 ottobre 2011

La notte delle streghe

Aspettiamo mezzanotte, insieme. Una tradizione vuole che si apra una specie di portale, tra questo e un'altro mondo, un passaggio capace di portare noi da qualche altra parte e gli abitanti di qualche altra parte qui da noi. È strano pensare a questo, a come mai e poi mai ci siamo immaginati noi a varcare quel portale e sempre e comunque e in ogni modo gli altri a venire da noi. Forse significa che siamo pigri, di natura, anche nella paura.
È la notte delle streghe. Per strada si vedono morti viventi intenti a camminare, le braccia allungate per afferrare la prossima preda; mostri di Frankenstein arrabattati, viti bulloni e chiodi arrugginiti, fatti con il cartone, appesi con qualche vile trucco alle tempie; ci sono fantasmi vestiti con lenzuola vecchie logore e bucate, due grandi fori al posto degli occhi, magari anche un sorriso amaro appena sotto, una bocca che non è più bocca ma è un vecchio giaciglio matrimoniale, a fiori opachi, consumato, estinto; si intravedono pazzi, scatenati, immobilizzati, farciti di tutte quante le più possibili turbe psichiche o facciali, storti in ghigni malvagi, occhi iniettati di sangue, sguardo maligno; diavoli rossi con corna finte, forconi veri, code dimenticate chissà dove, come le gambe caprine, gli zoccoli al posto dei piedi; teste mozzate, cavalieri decapitati senza cavallo ma con in mano una piccola riproduzione di una grande zucca vuota, intagliata; scheletri disegnati sopra ombre notturne ben erette. Ci sono pure dei vampiri, con la bocca imbrattata di sangue finto, nell’unico giorno dell’anno nel quale possono finalmente seguire la loro natura, dimenticandosi per una volta di fingere di amare giovani ragazze imbranate. Camminano tutti quanti lungo strade illuminate da lampioni accesi. È un bagno di folla, vera e propria. Non c'è nessuno con in mano un coltello vero, la faccia coperta da una maschera per non farsi riconoscere.
Se ci fosse sul serio un portale, o chissà cosa, inventa tu una nuova leggenda o una tradizione, capace di portare di qua da noi il regno dei morti, oppure per una notte, questa fantomatica notte delle streghe, permettere alla paura, la paura vera, di prenderci tutti quanti, afferrarci la colonna vertebrale e strapparcela via, come fa il buio con la lingua delle sue vittime; se ci fosse il terrore per strada, e non un'abbuffata di gente vestita come a carnevale, in una replica americana, una scusa per potere di nuovo fare baldoria e ubriacarsi, divertirsi e ubriacarsi, ridere e ubriacarsi, ballare e ubriacarsi, tirare dardi e ubriacarsi; le strade sarebbero tinte di tenebre e non ci sarebbe nessuna luce artificiale a illuminare la notte, solo qualche fuoco qua e là a rendere il buio appena visibile, con la cenere di incendi o macchine bruciate a scendere come una lenta pioggia sommessa, le ultime barricate costruite in qualche modo molto approssimativo, con lo strascichio lento e ritmato di chi ha smesso di camminare da un pezzo, le mani consumate sporche di terra fresca a forza di scavare al contrario, dal basso verso l'altro, per finalmente uscire. Ci sarebbe tutt'altra paura in giro, se la paura fosse vera, altro che questa notte delle streghe, finta, vestita e non nuda.
Perciò non ti preoccupare, non c'è niente da temere. Aspettiamo mezzanotte, insieme, stretti uno accanto all'altra, qui in questo campo, e attendiamo, trattenendo il respiro, l'arrivo del grande cocomero, anche se sappiamo entrambi che si tratta solo di una traduzione sbagliata, più che di un'innocente invenzione.

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