mercoledì 27 giugno 2012

Men in black 3

Ci sono dei film che, a prescindere da quanto in realtà siano belli o brutti, andranno sicuramente bene al botteghino. Sono quei film che possono affidarsi a capitoli precedenti andati abbastanza bene e che per fama a richiamano in sala gli spettatori fedeli a cui erano piaciuti i capitoli precedenti di cui sopra. Men in black 3 è uno di questi, anche perché la formula si discosta poco poco da quanto già portato in scena nella prima e seconda parte.
Ci sono inoltre dei film per i quali è necessario delle acrobazie pazzesche per giustificare il cambiamento di età di un protagonista, magari bambino in un primo film e adolescente invece in quello successivo. Qui invece gli sceneggiatori hanno dovuto inventarsi un viaggio nel tempo, indietro, per giustificare la ringiovanita faccia dell’agente K, al secolo Tommy Lee Jones: quando gli effetti speciali vengono superati dal botox.
Will Smith torna perciò nel mitico 1969, anno della prima passeggiata sulla luna di Neil Armstrong e soci, per andare a ritrovare il suo collega, un giovane K interpretato con una perfezione accigliata da Josh Brolin. Insieme dovranno sventare una minaccia che avrà ripercussioni sul futuro.
Gli uomini in nero restano godibili nonostante comincino a invecchiare alla rovescia. Si cercano altre strade, andando a giocare con la diversità tra l’agente J e l’agente K, non più tra Will Smith e Tommy Lee Jones. Alcune magagne vengono però fuori, come per esempio il fatto che i due sembrano sempre essersi appena conosciuti, come congelati in una bolla temporale che li obbliga a non conoscersi mai a fondo. Dettagli su cui si può chiudere un occhio e fare finta di niente. Caso mai gli si può rimproverare di avere seguito la moda e avere giocato la carta del 3D.

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