mercoledì 6 giugno 2012

Shame


La dipendenza dal sesso raccontata con freddo distacco tramite un protagonista che danza un triste ballo sull’esile linea di confine del farsi scoprire e vivere una vita normale. Tutto pare procedere all’infinito partendo da un non ben noto inizio radicato nel profondo passato, fino a quando a disturbare l’armonia costruita con rituali giornalieri da un profondo Fassbender arrivano due variabili non calcolate: la fragile sorella interpretata da Carey Mulligan (protagonista di interessanti scelte di ruolo), e la compagna di ufficio Marianne. La prima sarà la pedina del rimorso, ma anche colei che per prima solleverà il velo di invisibilità sotto il quale Brandon, il personaggio di Fassbender, nasconderà le sue ossessioni, portandolo in questo modo allo scoperto e in condizioni di dover guardarsi per la prima volta, davvero, in faccia. La seconda invece gli farà capire quanto la sua vita gli impedisca di avvicinare sul serio le persone alle quali tiene. Il risultato sarà l’apertura e la chiusura del film, punti cardine della pellicola che come due parentesi racchiudono tutta la storia narrata nei cento minuti di pellicola.
Toccante, sensibile, nonostante la spirale di sesso nella quale Brandon precipita anche con qualche dolore fisico. Da vedere.

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