lunedì 20 agosto 2012

La grande casa

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Ma a volte, negli avvenimenti e nei vuoti tra una frase sconclusionata e la seguente, una nube cupa attraversava il suo volto, esitava un istante come se volesse fermarsi e poi scivolava via, dissolvendosi verso i confini della stanza, e in quelle occasioni mi sembrava quasi di dover distogliere lo sguardo, perché sebbene avessimo conversato a lungo di letteratura non ci eravamo ancora detti molto su noi stessi.

Il potere della letteratura, ne sono sempre stata convinta, risiede nel gradi di determinazione con cui la si produce.

Orgogliosa della sua speciale capacità di percepire la simmetria sepolta nelle cose

Passa da casa, dissi a Uri, e prendi l’abito rosso di tua madre. Papà, replicò lui, con la voce che si srotolava come un nastro lasciato cadere da un tetto. Quello rosso, Uri, con i bottoni neri. Non quello con i bottoni bianchi. È importante. Ci vogliono i bottoni neri. Perché proprio quelli? Perché c’è una grande consolazione nei particolari.

Si crede a torto che le emozioni intense della giovinezza si attenuino con il tempo. Non è vero. Impariamo a controllarle e a reprimerle. Ma non si affievoliscono. Si limitano a nascondersi e concentrarsi in luoghi più discreti.

Andiamo in cerca di schemi, vedete, solo per trovarne le discontinuità. Ed è lì, in quelle fenditure, che ci accampiamo e aspettiamo.

L’esperienza gli aveva insegnato che gli altri ci favoriscono quando si sentono in qualche misura legati a noi, sia pure solo da una stratta di mano o da una conversazione amichevole. Meglio ancora se credono di poter ricavare qualcosa in cambio dei propri sforzi

In precedenza mi erano capitati abbastanza spesso dei periodi di tristezza, ma non avevo mai provato la sensazione di essere assediata dall’interno, quasi avessi sviluppato una specie di allergia a me stessa.

È meraviglioso sentire che qualcuno ci vede per la prima volta come siamo veramente, non come vorrebbe che fossimo o come noi vorremmo essere.

La sua attenzione mi faceva sentire così nitida, così luminosa e precisa

Com’è possibile aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato? Oltre un certo punto, non si può fare a meno di vedere nella sua condotta una forma di autocompatimento.

Ci si innamora, ed è lì che inizia il lavoro: giorno dopo giorno, anno dopo anno bisogna scavare in se stessi, esumare il contenuto della propria mente e della propria anima perché l’altro lo esamini e possa conoscerci, e anche noi dobbiamo dedicare giorni e anni ad aggirarci tra tutto ciò che l’altro disseppellisce solo per noi, i reperti archeologici del suo essere

Volevo essere giudicata per quanto ho fatto della mia vita, e invece adesso sarò giudicata per il modo in cui l’ho descritta.

Malgrado il paralizzante senso di noi che a volte s’impadroniva di me dopo che l’avevo vestito e la giornata si stendeva di fronte a noi come un parcheggio sterminato.

Condussi i miei figli di città in città. Impararono a chiudere gli occhi a bordo di automobili e treni, a addormentarsi in un posto e a svegliarsi in un altro. Insegnai loro che a prescindere da quanto vediamo dalla finestra, dallo stile dell’architettura, dal colore del cielo alla sera, la distanza da se stessi rimane immutabile.

Insegnai loro a dire: partiamo domani, come mio padre, studioso di storia, aveva insegnato a me che l’assenza delle cose è più utile della loro presenza. Anche se molti anni più tardi, mezzo secolo dopo la sua morte, mi fermai su un frangiflutti a guardare la risacca e pensai: utile per cosa?

Nicole Krauss

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