lunedì 10 giugno 2013

La neve cade sui cedri

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La prospettiva della morte in autunno, diceva era irrilevante in confronto alla felice percezione che essa aveva di partecipare alla vita dell’albero. Lì in America, spiegava, aveva paura della morte, la vita era separata dall’Essere. Una giapponese, invece, deve capire che la vita comprende la morte, e una volta avvertita la verità di questo principio conquista la tranquillità.

Ma non le era risultato difficile, la sera delle nozze, cacciare totalmente dal cervello Ishmael. Ci si era intrufolato, per così dire, soltanto per caso, perché i momenti romantici si collegano tutti l’uno all’altro, che lo si voglio o no, anche quando certe persone sono ormai morte da tempo.

Lui era sempre a corto di parole, fino dai tempi in cui non le padroneggiava un granché, ma lei sembrava capace di un silenzio che dentro di sé lui non sapeva trovare.

Era bello, baciarsi così dentro l’albero, perciò lo fecero per un’altra mezz’ora. Con la pioggia che cadeva, fuori, e il muschio morbido sotto la schiena, lui chiuse gli occhi e inspirò a fondo il profumo di lei attraverso le narici. Si disse che non sarebbe mai più stato così felice, e l’idea che tutto ciò stesse succedendo e che di conseguenza, per quanto a lungo lui potesse vivere, non sarebbe mai più successo nello stesso modo, gli fece sentire una specie di fitta di dolore.

Era fuori, in mezzo ai suoi raccoglitori, a selezionare fragole nei bidoni, quando una più generale sensazione di vertigini e nausea che avvertiva da tutto il mattino si era precisata in quella che la terra gli si stesse inclinando sotto i piedi. Era arretrato e aveva fatto un ultimo tentativo disperato di scrollarsi di dosso quello che gli stava succedendo, ma il cielo era parso ammassarglisi attorno alla testa, la terra si era distorta e lui era cascato a testa all’ingiù in un bidone di fragole.

Era così che gli aveva insegnato suo padre: maggiore è la compostezza, più si è scoperti, più appare manifesta la verità della propria vita intima. Che piacevole paradosso.

Sapeva già da tempo che cos’è una prova dura, aveva spiegato: la sua vita era difficile da un pezzo. Sapeva che cosa significa essere vivi senza veramente esserlo; che cosa significa essere invisibili.

È meglio accettare la vecchiaia, la morte, l’ingiustizia, i cimenti per quello che sono: tante componenti della vita.

Negare che la vita abbia un lato oscuro sarebbe come fingere che il freddo dell’inverno sia più o meno soltanto un’illusione temporanea, una tappa sulla strada della più elevata “realtà” di un’estate lunga, calda, piacevole. Perché poi si sarebbe scoperto che anche l’estate non è affatto più reale della neve che si scioglie d’inverno.

“Lo so chi sono”, aveva risposto lei. “So esattamente chi sono”, aveva dichiarato una seconda volta, ma non erano che altre parole cariche di incertezza; altre parole di cui pentirsi. Sarebbe stato meglio il silenzio.

Era cosciente del fossato che separava il suo modo di vivere dalla sua realtà.

Aveva scoperto a diciassette anni che poteva modellare il comportamento di un maschio a suo piacimento: era una forza che si basava sul suo aspetto.

“Che cosa crede che sia a indurre un uomo a mentire? Crede che uno debba mentire se non ha niente che gli imponga di farlo? Una bugia è in ogni caso una copertura, una cosa che si dice quando non si vuole che venga fuori la verità.”

Il cuore di ciascuno di noi rimane misterioso in eterno, in quanto dotato di una volontà sua propria.

Si mise a scrivere e, facendolo, capì un’altra cosa: che la casualità governa ogni angolo dell’universo tranne i recessi del cuore umano.

David Guterson

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