mercoledì 18 settembre 2013

E giustizia sia fatta

Il male che ti ho fatto, in cuor tuo, non lo sai neppure quantificare. Mi sono mosso in modo talmente abile da nascondermi dietro affetti e sorrisi, mentre invece tramavo alle spalle di un dolore ancora più grande del sole. Tu ridevi e dicevi di divertirti, mentre passeggiavamo per strade deserte nelle quali avrei potuto tranquillamente ucciderti. Non l’ho fatto, sai perché? Perché l’omicidio è una soluzione talmente scontata e priva di senso. Un po’ come la pena di morte. È meglio il dolore, continuo e costante. Questa è la migliore punizione. Un supplizio di cui non si riesce a vedere la fine, che agisce quando invece sembra essere l’esatto contrario, quando pensi di stare bene e invece sanguini da fare schifo dentro, riempiendoti di ematomi invisibili. E gonfi, gonfi, fino a diventare un bozzo unico di ferite di cui non ti rendi neppure conto. Ti guardi allo specchio e credi di stare bene. Tutto quanto appare normale, tranquillo. Gli occhi, le guance, la bocca: ogni cosa è al suo posto e sembra perfettamente sana, mentre invece il suo risvolto marcisce di putridume malato, sacrificato in tagli sempre più duri e decisi. È lo scheletro che si scioglie, che si perde in attimi nel quale rompersi è facile quanto respirare. Un solo respiro e, crack. Una frattura. Ma stavi solo respirando. Oppure stavi solo parlando. Stavi ridendo. Come diavolo può essere successo? È questa la punizione migliore da infliggere, quando ti ammali e non pensi neppure di dovere guarire da qualcosa, fino a quando non è troppo tardi e non c’è più. Il male che ti ho fatto, in cuor tuo, non lo sai neppure quantificare, e io non lo so neppure capire. Mi domando se una qualche giuria mi potrebbe mai assolvere se mi giustificassi dicendo che non lo facevo apposta, anzi, che pensavo di farti stare bene e felice con il mondo intero. Mentre facevo il contrario. Essere felice, essere triste. Spingere verso una parte e tirare dall’altra. Ho solo sbagliato direzione, vostro onore, ma ero convinto di fare del bene. Questo direi. Chissà se mai potrei essere perdonato. O se nel letto, ad attendermi paziente, ci troverò mai la mia unica amica: la gogna.

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