mercoledì 11 settembre 2013

Zanzare

Di notte fraternizziamo con le zanzare. A finestre aperte le lasciamo entrare, giocando a riconoscerle dal rumore. Ci volano vicino all'orecchio e bisbigliano frasi che noi non riusciamo a capire. Le loro ali sono la loro lingua, un mezzo di comunicazione importante quanto il nostro parlare. Passano da me a te senza farci caso, poi da te a me, e di nuovo in giro. Volano a spirale verso il soffitto, allontanandosi, per poi ricadere sempre a spirale verso uno dei due. Di tanto in tanto le scacciamo con una mano, cercando di avere silenzio per un po' di riposo. Tra il caldo, il rumore, il sonno che non viene. Le coperte ci sembrano appiccicose perché in fondo lo sono davvero: bagnate del nostro sudore silente. Sono la nostra seconda pelle lasciata abbandonata lì, quasi senza volerlo, in modo distratto. Ancora per poco, un pezzetto, una lingua appena percettibile, è attaccata a un dito o una porzione di braccio o una parte di gamba, una coscia o un polpaccio. Ci giriamo e rigiriamo lasciando impronte doppie impronte, come un velo, della nostra pelle viva e della nostra pelle appena morta. Mentre le zanzare ci guardano cambiare di notte in notte, entrano per salutarci e planano su di noi per capire una cosa che in fondo non capiamo mai neppure noi, io per primo. Non ce lo domandiamo mai abbastanza, ma loro ci ronzano intorno e sembrano volerci dire di non farci caso, di continuare a dormire. Ci tranquillizzano sussurrando parole consolatrici: non vi preoccupate, non vi faremo del male, non sentirete niente. Ci assaggiano con un bacio che sa di risucchio come se volessero capire con quel prelievo che per loro è cibo se ogni notte cambiamo anche dentro così come cambiamo pelle fuori.

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