mercoledì 18 febbraio 2009

Da te nascevano dinosauri

Ci inventavamo delle parentele immaginarie perchè ubriacarci non ci sembrava la soluzione giusta. Poi però il sabato ci separavamo andando ognuno per conto proprio, e vomitavamo nei fiumi, appoggiando il petto agli argini bassi. Quegli stessi argini che ieri sono franati, hanno tirato giù una quantità di terra che non puoi immaginare, e mentre le luci si facevano sempre più alte, sempre più insistenti, la gente si accalcava ai bordi, stringeva le transenne per guardare chissà cosa poi. Solo un buco dove prima c'era un mucchio di terra.
Anni fa le persone ci ignoravano, quando andavamo in giro insieme ci sputavano quasi addosso, mentre ora. Non so cosa facciano ora, perché ho come perso il filo di tutto questo accadere. Ho perso e perdo il passato, il futuro. Non vedo legame tra un minuto e quello che lo ha proceduto. Eppure, mi rispondo, ci deve essere qualche cosa che li incolla, in qualche modo devono avere dei lacci, come le scarpe, e legarsi insieme, uniti, con nodi e fiocchi o doppi nodi.
E mentre parlo, mentre vomito parole come ai nostri tempi vomitavo pizze e birra e succhi gastrici e lamenti, tu mi guardi in modo straniero, con gli occhi di chi non ha guardato abbastanza il sole per accecarsi. Forse ti ho bruciato la retina. Forse mi sono bruciato io. Il tempo è infame, anche se non c'è più passato, e il presente è l'unico verbo adatto a questo incontro. Quando mi siedo al tavolo, tu ti siedi al tavolo insieme ad un me di chissà quale spazio-tempo. Incominciamo a parlare ma non abbiamo mai veramente parlato prima di ora. Le parole si tuffano in un buco nero, in un universo parallelo, in questa stupida filastrocca che la gente si annoia di sentirmi raccontare.
Hai capelli più lunghi, arricciati attorno ad un filo stretto e complicato. Un volto più magro, diverso dall'ombra di quello stesso volto che mi aspettava fuori sulle gradinate. Quando scappammo da una prigione fatta di libri, con io che sembravo un cretino arroccato a finestre chiuse e appeso a linguacce rubate, a ipotetici baci, alle controindicazioni e prevenzioni di un nostro singolo fluido. Non basta la stessa angolazione del sorriso, che ripercorre in modo casuale l'inclinazione della mia prima adolescenza; non bastano gli occhi per ricalcarti di nuovo in questo presente, tralasciando il passato e dimanticandosi le mani. Forse sei davvero una persona diversa, proprio perché quando ci sediamo sono io a parlare, mentre te assente ti limita a domandare.

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