lunedì 22 marzo 2010

Ulisse

Ancora nessuno lo aveva capito: quando usava superlativi bisognava capire l'esatto estremo opposto. Era una maschera che metteva su ogni qual volta si sentiva il mondo crollare sotto i piedi. Si era detto, un giorno, che se ogni cosa sembrava andare per il peggio, forse era sufficiente dire che invece era tutto perfetto, che tutto andava benissimo. Quasi quelle parole avessero il potere magico di risollevare una situazione, colorare un giorno, accendere una notte o una sera.
Purtroppo però la realtà non funzionava proprio così. Poteva ripetersi in continuazione quei superlativi a lui tanto cari, ma le cose non cambiavano certo in conseguenza a ciò che diceva. Se il cielo era buio non bastava dire che era azzurrissimo per spazzare via le nuvole o il grigio.
Quella sera, al telefono, sapeva già cosa lo aspettava, ancor prima di rispondere. Lo sapeva perchè con il tempo aveva imparato ad assaporare quegli attimi di attesa che si trasformano poi in delusione. Era diventato bravissimo a capire il momento esatto durante il quale il dolce dell'aspettare diventava così amaro da strizzare gli occhi in disgusto; come un elastico che tendi tendi tendi all'infinito e ad un tratto, un preciso tratto, prende e si spezza schizzandoti rabbioso sulle dita. Quella sera già sapeva, perchè aveva in pratica cenato con quel sapore, sempre presente in bocca a cariargli i denti, e non bastava il vino che buttava giù a grandi sorsi, divisi in bicchieri sempre più pieni stracolmi grondanti di fuori, oltre il bordo sottile e privato; aveva già la gola intrisa di quel gusto che dà l'attesa vana, l'aspettativa marcia e consumata.
La sera usciva sempre e solo perchè sapeva che se avesse seguito lui non si sarebbe in alcun modo perso, anche quando si rendeva conto, nei vaghi momenti di lucidità, che le strade che percorreva erano soltanto sue, chiuse al traffico di altri. Poco importavano le strisce pedonali, le corsie di emergenza o le parole messe in fila una dietro l'altra in ingorghi di confusione di pensieri e intenti. E' per questo che quando rispose, quella sera, quella precisa determinata sera, non disse ciò che pensava, ciò che già sapeva; ma disse quello che gli avrebbe fatto meno male, almeno sentendolo dire dalla sua stessa voce. Perchè ogni giorno di più si sentiva come Ulisse, sempre in mare a navigare ma mai capace di tornare davvero a casa. E temeva, ogni volta, che poi alla fine non ci fosse neppure più una Penelope ad aspettare.

Nessun commento: