giovedì 29 luglio 2010

Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?

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La persona che ami è fatta per il 72,8% d’acqua e non piove da settimane.

Perché è capitato anche a te, di esserti innamorato di qualcuno della tua classe, il primo o il terzo giorno di scuola, e lo spazio diventa infinitamente ristretto, stare nel banco diventa imbarazzante, non c’è un punto su cui puoi fissare lo sguardo, perché se guardi lei, o lui, se ne accorgono tutti, e se guardi da un’altra parte, il muro, per esempio, al di là di chi ti interessa, verso la lavagna, come se lei o lui non esistesse, anche allora se ne accorgerebbero e penserebbero che non sei normale, a startene lì a far finta che non te ne importa niente. Perché non si può nascondere. Sei trasparente. Sei come cellofan. E altrettanto fragile.

Non avevo parlato con lei nemmeno quel giorno, non so come mai, non trovavo l’occasione, probabilmente avevo una fifa matta. Pensavo a cosa sarebbe potuto accadere. Al rischio di diventare un elemento di preoccupazione nella sua vita, di disordine nel mio mondo. Al pericolo che tutto deragliasse e l’acqua diventasse improvvisamente profonda.

Venerdì.
Bisogna stare attenti ai venerdì.
Promettono molto.
Come certi trailer dei film.
Ma è raro che siano all’altezza delle aspettative.
Quasi tutti i venerdì sono solo banali sequel.

Con passo rigido raggiunsi il retro del palco, scesi le scale e tornai nello spogliatoio delle ragazze, mi sedetti accanto ai miei vestiti, aprii la visiera, mi piegai in avanti e vomitai sul pavimento, il vomito usciva a fiotti, a conati violenti, mi inginocchia i e mi svuotai sulle piastrelle, il vomito scorreva verso le docce in onde vischiose di birra, vino e alcol scuro, tutto quello che avevo accumulato quell’autunno.

E la primavera del 1979 decisi: sarei scomparso là fuori nella folla, sarei stato il numero due, uno che si rendeva utile invece di cercare di farsi notare, che faceva quello che gli chiedevano di fare. Ma questa naturalmente è solo una riflessione a posteriori, il tentativo di inchiodare il vero punto di partenza di una vita. È solo nella finzione, nei film e nei romanzi, che si può stabilire l’istante esatto del cambiamento. Nella realtà la scelta arriva strisciando, il pensiero si forma a poco a poco

Più amici metti insieme, più saranno i funerali a cui finirai di dover andare.
Più persone da rimpiangere quando scompariranno.
Quanto più ti esoni, tante più pietre potranno tirarti.
Ma chi è solo delude solo se stesso.
Questo, pensavo.

A cosa pensava Buzz Aldrin, la notte prima del lancio? Domani sarò nello spazio. Sarò uno dei primi uomini là fuori, troveremo la luna

Certe notti dormire è impossibile. Impossibile convincere il cervello a rallentare.

Stai cercando te stesso? Pensa se quello che trovi non ti piace, e devi viverci per il resto della vita.

Ho trent’anni di vita da cancellare. Nessuno ha così tante gomme.

Era un’attività che oltretutto rendeva l’assurdità imbarazzante.

Dissi che non avevo intenzione di partire e quasi rimasi male quando vidi com’erano contenti di sentirlo, quanto in fretta le persone diventano dipendenti le une dalle altre.

Cominciammo a pensare che sentirsi in buona salute potesse rappresentare un sintomo di malattia in sé.

I tuoi contorni che diventano più sottili, il profilo più vago. Ma non sei ancora scomparso del tutto. Ci vuole tempo. Anni. Però scompari. Scompari a te stesso, diventi un altro ogni giorno che passa. Non sei più quello che eri un tempo. Le microscopiche cellule che compongono il tuo viso sulle fotografie che i tuoi genitori tengono appese in soggiorno non ci sono più, sostituite da nuove. Non sei più quello che sei. Eppure sono sempre qui, gli atomi si scambiano di posto, nessuno più controllare le acrobazie dei quark. Idem con quelli che ami . che a una velocità quasi insensibile ti si sbriciolano tra le braccia, e tu vorresti afferrare qualcosa di durevole in loro, stringere lo scheletro, aggrapparti ai denti, alle cellule cerebrali, ma non puoi, perché è quasi tutta acqua a cui è vano pensare di tenersi stretti.

Salì in macchina.
“Sofia è morta”, disse solo.
Non mi sorprese sentirlo. Probabilmente me l’aspettavo. Prima o poi. Ciò nonostante mi sentii affondare, e pensai che questo è il prezzo che si paga per voler bene alle persone.
E non c’è niente di più irrimediabile.
Assolutamente niente.

Pensai alle cose che avevo letto. Che i moribondi perdono tutti i sensi nei minuti che precedono la morte. Uno a uno. Prima il gusto, poi l’odorato. Poi scompare la vista. Il tatto. L’udito. La percezione del dolore. Come spegnere le luci uscendo dall’ufficio a fine giornata, chiudere la porta e perdere le chiavi sulla via di casa.

Johan Harstad

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