mercoledì 15 settembre 2010

Vestiti

quando c'era lei lui non aveva bisogno di fare niente. non doveva usare frasi, descrivere la stanza, le sensazioni. troppe parole rischiavano sempre di soffocare, e lui non riusciva mai a capire quando queste iniziavano a essere abbastanza. andava a finire che lui continuava a versare parole, come acqua dentro un bicchiere, fino a quando le parole non arrivavano al bordo e poi traboccavano, andando a bagnare il tavolo, scivolando per terra. allora dovevano armarsi di uno straccio, cominciare ad asciugare il pavimento, altrimenti si sarebbero portati dietro le impronte per tutta la casa. era inutile chiedere scusa, lui lo sapeva. non mi importa delle scuse, diceva un suo amico, basta che tu faccia di tutto perché non accada di nuovo, altrimenti delle scusa non me ne faccio niente.
quando c'era pensava a tutto lei. tornava a casa di fretta, quasi tutti i giorni, senza mai chiedere di essere aiutata. lui la guardava prepararsi da mangiare, due penne al sugo, e poi mettersi a scrivere.
avrebbe voluto alzare la mano, chiederle il permesso di intervenire, aveva un'idea. più che un'idea però era una visione. lei che mangiava le penne, ma non la pasta, quanto piuttosto delle vere e proprie penne, delle bic, rosse quando le condiva con il sugo di pomodoro, nere con il nero di seppia, blu. blu? se prendeva questa sua visione e l'applicava alla realtà, sovrapponendo un foglio di carta trasparente a una fotografia di lei, poteva in qualche modo capire i meccanismi che le permettevano di scrivere. fantasticava, lui, su questa sua idea, molto bislacca, se ne rendeva conto, ma allo stesso tempo in un certo modo molto da favola moderna. dentro un sogno sarebbe stata perfetta, tutto quanto avrebbe funzionato. così chiudeva gli occhi, mentre lei era seduta accanto a lui sul divano, e ascoltando il rumore delle sue dita sui tasti del portatile si immaginava immerso in questo sogno.
lei tornava a casa, mangiava un piatto di penne, il tanto necessario per permetterle poi di sedersi e vomitare, ma nel senso buono senza sentire alcun fastidio o dolore, una lunga gettata di inchiostro sotto forma di parole. era bello perché la vedeva prima rifornirsi, fare il pieno di quello che era il suo carburante, e poi restituire il tutto sotto una forma diversa, più bella. era una specie di pianta, nel sogno, era verde, la pelle dello stesso colore delle foglie. respirava inchiostro, dalle penne, e rilasciava anziché anidride carbonica tutta una serie di storie con le quali poi la gente si rispecchiava, oppure ci si addormentava abbracciandosi dentro, come lui faceva di notte quando era ancora troppo presto per mettere le coperte pesanti, ma allo stesso tempo iniziava a venire freddo, così lui si raggomitolava dentro le lenzuola, avvolgendosi tutto, diventando una specie di crisalide: questo facevano le altre persone con le storie di lei.
aveva un'abilità particolare: quella di capire le persone. le bastava passare un po' di tempo con loro, oppure scambiarci giusto due parole, per riuscirle a comprendere tanto quanto una vita intera forse a lui non sarebbe stata sufficiente. era una specie di superpotere, come quelli che avevano i supereroi dei fumetti. c'era chi poteva volare, chi respirava nello spazio, chi aveva una forza inumana. lei riusciva a indossare le persone. le conosceva e le apriva, quasi queste persone, tutte le persone, avessero una cerniera lampo cucita dietro la schiena, da sotto la nuca fin poco sopra il culo: una specie di salopette. prendeva il vero io della persona, lo trattava con cura, lo estraeva dal suo vestito, riponendolo magari davanti a se, tutto rosso sanguinolento, un fascio di muscoli e nervi e tendini e organi tenuti assieme dal plasma vischioso che ricopriva qualsiasi cosa, e diceva: guardami. prendeva il vestito di queste persone, la loro pelle, e ci entrava dentro. sistemava le mani in modo da farle aderire alle sue, tirandole come si fa con i guanti di lattice, si alzava le gambe per non farsi cadere alle caviglie i pantaloni, poi quando era pronta, tutto sistemato, ogni cosa al suo posto, prendeva a parlare. parlava come se fosse davvero lei quella persona. parlava dei suoi problemi, dei problemi di se stessa, ma sembrava comunque stesse parlando dei problemi della persona che indossava. vedeva il mondo, e per questo anche i suoi problemi, sempre con i suoi occhi, ma attraverso le lenti degli occhi della persona.
era favoloso vederla all'opera. a lui faceva lo stesso effetto di quando andava a guardare uno spettacolo teatrale ben riuscito, oppure quando entrava in un museo per visitare una mostra. lui sapeva disegnare, non dico proprio bene, forse in modo molto infantile, ma in fondo tutti riescono a disegnare, lo sa fare chi più chi meno chiunque, ma alle mostre ci sono sempre dei quadri stupendi attaccati alle pareti, esposti nelle sale, lui quasi ci cadeva dentro, immerso nei colori, seduto tra le pennellate un poco in rilievo. vedeva una cosa che poteva fare anche lui, dipingere, ma la vedeva fatta in un modo incredibilmente migliore. era un sollievo, sapere che comunque le sui idee, ciò che avrebbe voluto fare, non si fermavano davanti alla sua incapacità o al suo dilettantismo, ma venivano svolte, sviscerate, sviluppate da chi era più capace di lui. questo gli piaceva quando la vedeva scrivere.
quando la leggeva invece percorreva il tragitto al contrario, partendo dalle parole per arrivare fino a ciò che le aveva fatte scaturire. risaliva la corrente, era un salmone. si immaginava una volta in cima, alla sorgente, ci fosse lei ad aspettarlo. gli orsi di solito pescano i pesci con grandi zampate nell'acqua per poi mangiarseli, invece lei lo avrebbe preso con cura e cullato tra le braccia, almeno questo sperava lui.
pure le persone che erano state svestite sembravano contente. anche se tutto il processo poteva apparire in qualche modo molto cruento, con le viscere rovesciate fuori, i muscoli, il sangue, e tutto quanto il resto, non lo era affatto. erano sotto anestesia, pensava lui. le persone che lei indossava, di volta in volta, erano ben felici di prestare il loro abito, perché spesso dentro si ha tutta una serie di cose da dire ma non si trovano mai le parole giuste da usare, ci si spiega male, non si riesce a farsi capire, così poi pare dentro si abbia solo tanta tanta confusione. non è così, tutti lo sappiamo. lei forse lo sapeva più di chiunque altro. per questo aiutava tutti, si metteva a raccontare se stessa raccontando allo stesso tempo il vestito che al momento stava indossando. lei sapeva quali parole usare, quante usarne. sapeva quando fermarsi prima di far traboccare l'acqua fuori dal bicchiere e bagnare tutta la casa.

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