martedì 17 maggio 2011

Bagno

Sul lavandino del bagno c'è ancora il tuo ultimo spazzolino consumato. Le setole spelacchiate, disordinate, sparse un po' a destra e un po' a sinistra: sembra uno di quei vecchi barboni disperati che chiedono l'elemosina nel sottopasso della stazione di Firenze. Non ho avuto il coraggio di buttarlo via. Non lo hai fatto tu, quando c'eri, non vedo quale diritto avrei di farlo io.
Stamattina sono entrato in bagno senza accendere la luce. Un chiarore opaco filtrava dalla persiana chiusa. C'era un aria azzurra mista al buio. Il box della doccia chiuso, a nascondere i dispiaceri, i flaconi di bagnoschiuma, shampoo, il balsamo. Una spazzola appoggiata per terra. Un mia lametta da barba non più utilizzabile.
Mi aspettavo di vedere anche fantasmi e spettri, l'ombra opaca di una figura solo tratteggiata nei suoi contorni. Invece non c'era. Lo spazio era pieno solo di questo vuoto inconsistente. Ho allungato una mano come per mescolarlo, quasi si fosse rappreso lì dentro a causa di un chissà quale scarico intasato, ma era leggero, quando ho mulinato la mano il vuoto non è sparito, si è solo spostato, di poco, sgorgando da sopra le pareti del box, come se quest’ultimo fosse una diga. Si è sparso ovunque, il vuoto.
L'ultima volta che mi hai detto di avere un problema, tutto attorno a noi c'era un strano odore di fritto. Sembravamo immersi in una bolla di olio sfrigolante, trasparente, intenti a nuotarci dentro bevendolo invece di respirare l'ossigeno. Ci muovevamo lenti, tu almeno. Quando mi spiegavi che il tuo problema ero io, perché io di problemi ne avevo anche più di uno, e tu non potevi farti carico dei tuoi e dei miei problemi. Devo cercare di risolvere quelli più vicini a me, dicesti, e ancora non avevo capito dove il tuo discorso ci avrebbe portati.
Mi sono sempre nascosto dietro la scusa di una malattia che non ho mai avuto. Te lo dissi fin dal primo giorno, quando facesti scivolare la tua mano dentro la mia dicendo: mi piace in questo modo. Appoggiasti la testa sulla mia spalla, e non faceva più freddo, non avevi più paura, tutto a un tratto il parco non era più buio. Prima di entrarci ti eri fermata un secondo. Avevi guardato l'orologio al polso, notando l'ora tarda. Non sarà pericoloso? chiedesti.
Non ci avevo mai pensato, pur andandoci quasi ogni sera. I giochi per bambini, le altalene e gli scivoli deserti, mi sembravano talmente innocui da non potere fare male a nessuno. Drogati, spacciatori, assassini, stupratori e rapinatori erano fuori dalla mia testa.
Non credo, dissi.

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