mercoledì 4 maggio 2011

La fortezza della solitudine

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Forse perfezionare una cosa era come distruggerla.

Croft andò in cucina e tornò con altri bicchieri e rimasero sotto il sole screziato a spremere limoni nella Coca-Cola e a sfogliare i giornalini, Dylan e Rachel e Croft, mentre Isabel Vendle si faceva diventare i polpastrelli quasi neri con l’inchiostro del Times. La Torcia umana era il fratello minore della Ragazza invisibile, che era sposata con Mr. Fantastic, mentre Ben Grimm era la Cosa e Alicia la sua fidanzata cieca, una scultrice in grado di apprezzare sinceramente l’orribile ma monumentale corpo di lui, e Silver Surfer era l’emissario di Galactus, e Galactus divorava i pianeti, ma Silver Surfer aveva aiutato i Fantastici Quattro a difendere la Terra, e Freccia Nera non poteva aprir bocca perché anche solo una sillaba da lui pronunciata era così potente da fare a pezzi il mondo: Croft e sua madre spiegarono tutte queste cose a Dylan, nuvolette di parole nelle tavole vivaci su carta giallina, mentre Vendlemachine muoveva le labbra in silenzio finché non si appisolò sulla sua sedia, e il pomeriggio domenicale di fine ottobre sprofondò nella sera.

“Come dicevo, ho notato che parlavi con Mingus Rude, è in terza media, com’è che lo conosci? Non che si faccia vedere granché, a scuola, eh? Però mi sa che è un vantaggio essere amici di… hsss… quel tipo di persone.”
Il discorso di Arthur Lomb aveva come una cicatrice grinzosa, un inciampo di fiato nel punto in cui aveva omesso la parola ‘nero’ dalla frase ma non dal pensiero che aveva dato origine alla frase.

Dylan non credeva di aver paura dell’altezza, ma il tetto di casa loro gli aveva sempre dato le vertigini, non tanto il vuoto fino a terra, quanto la vista sui tetti, fino a Coney Island e oltre. Era più facile se si guardava verso le torri di Manhattan. Ti rimettevano a posto, ti ponevano in una stabile relazione di piccolezza e timore reverenziale. Ancora più semplice inginocchiarsi sull’orlo del tetto, le mani aggrappate al bordo di mattoni alto fino alla caviglia, e scrutare di sotto il contenuto del tuo giardino: ailanto, mucchio di mattoni, ciuffi di erbacce una spaldeen sporca visibile appena come un brandello di carne. La realtà a dimensione di granello è rassicurante.

Il piccolo molo marcio su cui era seduto il ragazzo di città galleggiava in una chiazza grigioverde, simile alla fotografia corrosa di una nuvola.

Era abbastanza naturale in quei pomeriggi bagnati, ubriachi di insetti, la casa, il laghetto, il campo, il cortile di ghiaia davanti alla casa, tutti per Dylan e Heather, che si ritrovassero a un certo punto distesi in costume a lasciare impronte di culi umidi sul divano, uno accanto all’altro, ora ansimando ora ridendo istericamente, e un attimo dopo accucciarsi a ginocchia nude sulle sedie in cucina, a mescolare in un Tupperware da un litro cristalli di limonata con acqua di rubinetto fredda. Altrettanto probabile che poi decidessero di portare bicchieri grondanti pieni di ghiaccio i soffitta, che di giorno ribolliva di uno psichedelico sciamare di polvere fluttuante nella luce obliqua.

Potevi crescere nella città in cui si faceva la storia e, ciononostante, perdertela completamente.

La chiave di quasi tutto è nel far finta che la tua prima volta non sia veramente la prima.

I mesi tra il liceo e il college furono una fase di cupo deragliamento, tutti per metà proiettati verso nuovi destini ma senza essere ancora arrivati da nessuna parte.

Avrebbe dovuto passare l’estate a scrivere una parte della sua tesi… così come io avrei dovuto mettere già la mia sceneggiatura. Invece avevamo litigato e scopato, e, con il passare del tempo, eravamo precipitati in silenzi separati e torvi ognuno nella sua stanza.

Quando due corpi provano il crudo e arcano impulso a unirsi, quando ancora non si è avuto il tempo di farsi del male a vicenda, è facile per uno far sorridere l’altro.

Solo due notti più tardi, dopo che Arthur se n’era andato, Moira e io avremmo dormito di nuovo insieme, un errore pagato caro in un dicembre di errori pagati cari.

Jonathan Lethem

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