giovedì 20 dicembre 2007

Sulla collina

Alle dieci di sera sulla collina. Le spalle appoggiate al muro dell’osservatorio e le gambe stese sull’erba del giardino. Il paesaggio, appena sotto di noi, si estende per tutta la città: non è altro che un brillio fugace di mille luci intermittenti. Sopra la testa, invece, brillano quelle più dure, le stelle, e ci appaiano come mille candeline accese sul cielo.
La luna, un piatto, un disco, un qualcosa di ben più luminoso di tutto il resto, ci guarda con curiosità: quasi a chiedersi cosa ci facciano lì, noi, tre solitari ragazzi, lontani da tutto e da niente.

Mirko mi passa la bottiglia di Fanta che abbiamo comprato al supermercato prima di venire quassù. Io ne prendo un lungo sorso. Lo tengo in bocca per qualche secondo, con le guance gonfie, a sembrare un clown, poi butto giù. Mi volto verso la mia sinistra e tendo la bottiglia di plastica verso Irene. Lei la prende e butta giù la bibita.
Io torno con lo sguardo verso la vallata. Mi perdo giusto qualche istante, con domande che la mattina dopo manco ricorderò neppure. Domande innocue, banali e pure ripetitive. A volte, in sere come questa, cerco addirittura di trovargli delle risposte adatte. Risposte che siano convincenti, o per lo meno credibili.
Poi alzo lo sguardo e riprendo la luna.
“Già – le dico – cosa ci faccio io tra questi due perfetti innamorati?”

Alla mia destra è seduto Mirko, mentre alla mia sinistra c’è Irene, con i suoi capelli biondi. Si sono conosciuti circa tre anni fa, per merito mio continuano a dire. In realtà io non ho fatto assolutamente niente. Mirko è mio amico fin da quando ero bambino, mentre Irene era semplicemente una ragazza che passava di tanto in tanto a casa mia per farsi rammendare dei vestiti da mia nonna.
È bastato che per caso lei avesse un paio di jeans da rattoppare e che Mirko passasse a prendermi a casa, per far si che tutto iniziasse. Da quel giorno non c’è verso non vederli insieme, come una cosa sola.
Per questo ora, in mezzo a loro due, con questo paesaggio da brividi, romantico, mi sento così a disagio. Fuori luogo.

La collina dell’osservatorio l’abbiamo scoperta in molti il giorno dell’eclisse totale di sole. Prima di allora, pensare che il nostro paese avesse un osservatorio somigliava molto all’inizio di una barzelletta. Nessuno si era mai neppure domandato cosa fosse quella strana costruzione che sembrava uscir fuori dagli alberi; ma l’esaltazione generale per quell’evento così speciale, si sa, ha fatto miracoli.
Per fortuna in pochi dopo quel giorno si sono ricordati di questo posto, e così noi ci abbiamo trovato il luogo perfetto dove passare le serate un po’ strane e senza senso come questa.

La bottiglia di Fanta mi ritorna davanti agli occhi. Ormai è agli sgoccioli, durerà forse a dir bene un altro giro. Uno e mezzo al massimo.
La prendo per il collo, la guardo e immagino. Se mai qualcuno, oltre alla luna, ci vedesse in quello stato, cosa mai penserebbe?
“Perché Fanta?”
“Perché non abbiamo del fumo.” direbbe Mirko.
“Perché la birra non mi piace molto.” Irene lo guarderebbe con quegli occhi sorridenti.
Bevo e passo a Mirko.

È il momento di andarsene. L’ho capito. Devo solo trovare il coraggio di alzarmi e dire ciao; trovare delle scuse plausibili a tutte le loro domande del tipo perché te ne vai eccetera eccetera, e poi prendere la strada del ritorno.
Non che mi dispiaccia stare con loro. Sono forse gli unici veri amici che mi rimangono, ma so come sono fatti. Tra un po’ Irene inizierà a fare tutti quei versetti da fanciulla in calore, e Mirko le andrà dietro senza pensare che ci sono io nel mezzo a non significarci nulla. L’ho già visto succedere così tante volte. Ormai è una scenetta che so a memoria. E oggi non ne ho voglia.

“Io vado ragazzi. Torno verso casa. Domani mattina, il primo che si alza mi venga a svegliare, ok? Ciao”
“Ma sei a piedi!”
“Non fa niente. Vorrà dire che mi farò una passeggiatina.”

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