giovedì 24 aprile 2008

Scritto sul corpo


Perché è la perdita la misura dell’amore?

Dicesti: “Ti amo”. Com’è che la cosa meno originale che sappiamo dirci è tuttavia la sola cosa che desideriamo sentire? “Ti amo” è sempre una citazione. Non sei stata tu a dirlo per la prima volta e nemmeno io, eppure, quando lo dici tu e quando lo dico io, siamo come dei selvaggi che hanno scoperto due parole e le venerano.

È un errore sancire l’illogicità con un bacio, ma lo faccio sempre anche io.

Strano che il matrimonio, una manifestazione pubblica, aperta a tutti, apra la strada al più segreto dei legami, l’adulterio.

Le bruciai una per una in giardino, mentre pensavo come è facile distruggere il passato e come è difficile dimenticarlo.

L’esperienza mi ha insegnato che il tempo ha sempre una fine. In teoria hai ragione tu, hanno ragione i fisici quantistici, hanno ragione i romantici e i religiosi. Il tempo non ha fine. Ma in pratica tutt’e portiamo l’orologio.

Avevo recentemente imparato che un altro modo di scrivere INNAMORARSI è CAMMINARE SULL’ASSE.

In cucina Louise mi diede una cosa da bere e un casto bacio sulla guancia. Sarebbe stato casto se avesse subito ritratto le labbra, ma invece diede il bacetto di circostanza muovendo impercettibilmente le labbra. Ci volle circa il doppio del tempo necessario, che è comunque un tempo inesistente. A meno che non si tratti della tua guancia. A meno che tu non stia già pensando a una certa cosa e non ti stia chiedendo se anche qualcun altro sta pensando a quella certa cosa.

“Avremo una relazione?” disse.
Non è inglese, è australiana.
“No – dissi. – Tu sei sposata e io sto con Jacqueline. Sarà solo amicizia.”
Disse: “È amicizia.”
Si, è già amicizia, mi piace trascorrere la giornata con te in discorsi seri e senza senso. Non mi dispiacerebbe lavare i piatti accanto a te, spolverare accanto a te, leggere le ultime pagine del giornale mentre tu leggi le prime. È già amicizia e mi mancheresti, mi manchi e penso a te molto spesso.

Non si regala mai il proprio cuore, lo si presta di tanto in tanto. Se non fosse così, come potremmo riprendercelo senza chiederlo?

“Non vedi quello che vedo io.” Mi diede un buffetto . “Sei una fonte d’acqua chiara in cui gioca la luce.”

Comprai una bicicletta per coprire le venti miglia che separavano il bar dalla catapecchia che avevo preso in affitto. Volevo stancarmi tanto da non riuscire a pensare. Ma ogni giro di ruota era Louise.

“Devi dimenticarla.”
“Sarebbe come dimenticare me.”

“Posso dirti una cosa, tesoro? Le voglie non svaniscono con la stessa rapidità con la quale svanisce la bellezza. È una crudeltà della natura. Continuano a piacerti le stesse cose.”

Oggi ho trovato un suo capello sul cappotto. Il filo d’oro ha catturato la luce. L’ho avvolto attorno all’indice e l’ho tirato. In quel modo era lungo più di sessanta centimetri. È questo il filo che mi lega a te?

La passione non conosce le buone maniere.

Oggi le ferrovie inglesi mi definiscono “Il cliente”, ma preferisco il vecchio appellativo. “Il passeggero”. Non vi sembra che “guardavo gli altri passeggeri” abbia un tono più romantico e promettente che “Guardavo gli altri clienti sul treno”? i clienti comprano formaggio, spugne e preservativi. I passeggeri possono avere cose simili nelle valige ma non è il pensiero di quello che hanno acquistato a renderli interessanti. Un passeggero seduto davanti a me può rappresentare un’avventura. La sola cosa che mi accomuna al cliente davanti è il mio portafogli.

Jeanette winterson

1 commento:

Anonimo ha detto...

libro favoloso. scrittrice unica!