giovedì 18 novembre 2010

Aktarus

raccontami ancora quelle storie delle buona notte per cui non ti sei mai seduto sul mio letto a leggere un libro. ogni sera non era un rituale, quello di spegnere la luce e sentire la tua voce, perché le luci erano spente ma c'era sempre una voce nuova a riempire la stanza, e non una semplice stanza ma la Stanza. la musica usciva dalle casse abbastanza alta da non farci sentire il rumore con il quale il mondo fuori si affannava in contorsioni complicate a crescere, per tenere il passo dei nostri anni, e allo stesso tempo sempre la musica non suonava troppo alta da non farci sentire le nostre voci mentre parlavamo; ci accompagnava, ecco cosa faceva. mentre tu mi insegnavi a poggiare il vinile sul piatto, ad alzare il braccio del giradischi per farlo appunto girare, pulirne sempre la superficie prima di ascoltarlo. era un suono meraviglioso il fruscio scomposto che faceva la testina quando scivolava tra i primi solchi.
allo stesso modo mi insegnavi a fare altro, a leggere per esempio. perché non è tanto il tecnicismo, il riuscire a distinguere prima le lettere e poi le parole intere, far propri termini difficili o complicati, farmi spiegare da te che tutto sapevi e tutto sai, cosa significavano quei vocaboli strani che non riuscivo neppure a pronunciare - non era un caso, e non lo è tutt'ora, se nell'unico vocabolario che mi sento di consultare, l'unico di cui mi fidi, in cui mi rifugi ogni volta che ho un dubbio, non era un caso e non lo è tutt'ora, che in quel vocabolario siano scritte frasi tue, un discorso che so già non riuscirò mai a raggiungere nonostante mi possa sforzare in tutti i modi tutti i giorni di sfiorarlo anche solo - quanto piuttosto cosa leggere. mi hai insegnato a leggere ciò che era importante leggere, ciò che andava letto, ignorando i libri più banali, quelli inconsistenti, i libri inutili, così come mi hai insegnato a guardare ciò che c'era da guardare, cosa c'era da ascoltare. non mi hai fatto perdere, mi hai tenuto per mano anche quando eravamo lontani, anche quando eravamo distanti e non sentivamo il contatto della pelle sulla pelle, mi hai fatto attraversare un bosco schivando i percorsi dei lupi, facendomi passare per radure non troppo frequentate ma proprio per questo proprio belle, stupende, affascinanti. mi hai detto: non guardare dove vanno tutti, vai dove ti piace andare. e la cosa più straordinaria è che lo hai detto senza parlare, ma con i gesti, con le azioni, senza essere diretto come un treno in faccia ma efficace allo stesso modo.
raccontami ancora quelle storie, e altre storie. chiamami con i nomi dei tuoi cartoni animati, e io ti chiamerò ancora con i miei nomi inventati.

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