martedì 16 novembre 2010

Distanti

Quando lui le telefonò lei era appena uscita dalla doccia. Aveva fatto giusto in tempo ad avvolgersi stretta dentro l'accappatoio e precipitarsi in fretta, zampettando scalza, verso l'apparecchio che stava squillando.
Mentre alzava la cornetta non pensava fosse lui. Di solito non chiamava mai a quell'ora, se lo faceva significava che era in viaggio, da qualche parte perso per l'Italia, in una camera d'albergo con il letto matrimoniale e la televisione piccola che prendeva solo pochi canali, e male. Era così che di solito si mettevano a parlare: in modo distante, separati da chissà quanti chilometri, e chilometri, ogni volta. Quando non c'era tutto quello spazio tra loro non sprecavano certo il tempo a parlare.
"Ciao." Fece lui senza darle il tempo di chiedere chi fosse.
"Hey! ma sei tu."
"Certo, chi diavolo avrebbe dovuto essere?"
"No, niente... cioè: nessuno."
"Disturbo, per caso?" A tratti lei odiava quel suo modo sempre preciso di piombare dentro una giornata, chiedendo permesso, scusate, quasi non l'avesse già abbastanza sconvolta la sua vita, entrandoci all'improvviso, quella volta si senza chiedere il permesso, e rovesciandola tutta come un calzino.
"No, no. Mi stavo facendo una doccia."
"Sei ancora nuda?"
"Mi dispiace per te, ma ho fatto in tempo a mettermi l'accappatoio." Rise, cercando di stare quanto meno un po' al gioco, nonostante sapesse bene che non ci sarebbe riuscita, non per molto almeno.
"Peccato. Mi piace immaginarti nuda, magari ancora gocciolante d'acqua, con il corpo bagnato, mentre fai scivolare la mano lungo i fianchi e giù giù..."
"Rallenta tesoro, altrimenti la compagnia telefonica ti farà pagare la tariffa delle chiamate erotiche."
"Potremmo fare sesso telefonico, se ti va."
"Preferirei averti per le mani, piuttosto che lavorare di fantasia."
"E cosa mi faresti, se fossi lì con te?"
"Beh - voleva lasciarlo un po' sulle spine, farlo rosolare giusto qualche minuto sulla graticola, quel tanto che bastava per fargli capire che non poteva ottenere tutto subito; non ancora almeno. - dipende molto da come ti saresti comportato e da come ti comporteresti."
"Lo sai che io mi comporto sempre bene."
"Si, intanto però sei andato via senza neppure avvertirmi, senza farmelo sapere."
"Lo so. - divenne serio. - Purtroppo è stata una cosa improvvisa, un'emergenza."
"Dove ti hanno spedito questa volta?" Lui di lavoro riparava complessi macchinari odontoiatrici, contorti apparecchi che si snodavano in braccia allungabili e che erano capaci di fare un perfetto modello tridimensionale al computer di tutta quanta la bocca dal paziente.
"Sono poco fuori Brescia."
"Brescia? Questa mancava alla collezione, no?"
"Si, è la prima volta che ci capito." Si divertivano a tenere il conto di tutti i capoluoghi di provincia nei quali lui soggiornava, e ogni volta che capitava in un posto nuovo cercava in qualsiasi modo di prenotare la notte in una catena di alberghi diversa, in modo da poterle portare in dono saponette e shampoo che lei poi posizionava come tanti piccoli trofei dentro l'armadietto del bagno.
"Com'è la camera?"
"Non è un granché: è piuttosto scarna, però è davvero grande. Forse anche per questo motivo sembra così vuota, arredata poco. Tra il letto e l'armadio c'è talmente tanto spazio che mi ci posso sdraiare tranquillamente in mezzo."
"Woaw! E' una delle più grandi in cui sei stato, no?"
"Si. - rispose lui. - Ma anche una delle più vuote."
A quel punto a lei il respiro le si raggrinzò tutto attorno al petto, formando un leggero avvallamento concavo giusto in mezzo ai seni. Pregò con tutto il cuore che lui non pronunciasse quella frase, quella specie di ritornello che ogni volta saltava fuori quasi fosse il bacio della buona notte quando un bacio vero e proprio non potevano scambiarselo: una specie di contentino, lo zuccherino da dare al cavallo mansueto, ecco che sapore aveva quella frase per lei.
"Vorrei tanto che tu fossi qui con me, adesso." Ecco. Quelle parole la colpirono come una lama arroventata intenta a farsi largo dentro il suo ventre. Era troppo per quella sera, non ne poteva più. A volte raggiungeva un limite massimo di sopportazione oltre il quale non credeva possibile arrivare, e quella era una di quelle volte.
"Ora devo andare. - Disse lei con tono freddo, tornando ad avere tra le mani una semplice cornetta e non una mano di lui, un orecchio dentro il quale sussurrare o più semplicemente parlare. - Ho fissato con una mia amica per andare al cinema."
"Cinema? Non me lo avevi detto..."
"Scusa, ma sono proprio in ritardo. Ci sentiamo domani. - Tagliò corto. - Caso mai."
"Ok. Ciao. E Buona notte."
"Notte."
"Ti amo." Click.
Non fece in tempo. Forse perché una parte di lei magari voleva sentirsi dire quelle parole, le bramava, erano diventate una specie di droga da quando gliele aveva dette la prima volta; ma non fu abbastanza veloce nel riattaccare per strozzare la sua voce prima che pronunciasse quella stronzata da catene ai polsi.
Una parte di lei poteva anche volerle sentire quelle parole, ma una parte di lei non ne sopportava neppure più il suono, l'idea; non riusciva più neanche a guardare un film senza che un moto di rivoluzione violenta si scatenasse a metà strada tra il suo stomaco e il suo intestino ogni volta che un qualche personaggio le pronunciava, quelle stramaledette parole.
Appoggiata la cornetta al ricevitore si lasciò crollare sul pavimento, scivolando con la schiena contro la parete e ritrovandosi infine seduta rannicchiata a terra. Con una mano appoggiata alla base della fronte cercava di non piangere, ma sentiva già le lacrime mischiarsi con l'acqua che le gocciolava già dai capelli.
Casa sua era diventata d’un tratto silenziosa. E vuota. Lei sola, in mezzo a quel vuoto grande, enorme.
"Mi piace immaginarti nuda."
Avrebbe voluto qualcosa per le mani solo per poterlo scaraventare contro il muro e vederlo sfracellarsi scomposto e distrutto. Aveva voglia di sciupare, rompere. Aveva voglia di.

Nessun commento: