mercoledì 10 novembre 2010

An Education


an education, ovvero: la tentazione di una giovane ragazza intelligente. le scorciatoie degli anni cinquanta perse tra le strade piccole dei sobborghi inglesi intrecciate con i grandi boulevard di una parigi sognata e disegnata con libri, film, canzoni. perché sacrificarsi per il futuro, quando il futuro potrebbe non arrivare mai, o arrivare con temi da correggere facendoti diventare triste? guardare il mondo con lenti diverse. ripetere le lettere che il dottore indica al muro e che diventano via via sempre più piccole. cambiare la gradazione ogni qualvolta l'immagine si appanna troppo. non perdere di vista l'obbiettivo. qui sta il punto: definire un obbiettivo.
un film in costume, nelle atmosfere, ambientato nel secondo dopoguerra. fa strano dirlo per un periodo relativamente vicino a noi, quando invece siamo abituati a usare questa etichetta solo quando si vedendo sullo schermo abiti pomposi, parrucche ottocentesche, stili di vita faraonici. volenti o nolenti il novecento, soprattutto la sua prima metà, è diventato di costume. lo si può capire appunto dall'obbiettivo, oggi impensabile, il fine ultimo dell'istruzione, che è diversa dall'educazione del titolo. perché quell'educazione è quella che ti farà capire quanto siano importanti sia i libri, i film, le canzoni, ma quanto lo siano in egual modo gli errori. l'educazione del titolo si costruisce con le lettere dei propri sbagli, del perdersi autoconvincendosi di stare facendo la cosa giusta. allora tranci legami, ti togli il paracadute, fai spostare la rete di protezione, e ti tuffi nel vuoto convinta di saper volare. lo sbaglio, quello più grande, sta proprio in quel salto, perché non ci sarebbe nulla di male, anzi, se a saper volare fosse lei, la protagonista; ma per volare invece si affida soltanto a qualcun'altro. è vero: l'amore annebbia la vista, e non solo. lavora di fino a cambiarti il cervello, modificando le tue idee, trasformandoti fin dalle fondamenta delle tue stesse convinzioni.
e se è vero che è giusto sbagliare a sedici anni, può sembrare altrettanto giusto che i grandi non sbaglino più, che siano loro a tutelarti, a proteggerti; ma è anche vero e forse ancora più giusto che la verità è assai diversa da quello che si può urlare piangendo per cercare di alleggerirsi dalle colpe. la verità è che non si finisce mai di sbagliare.

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