martedì 16 novembre 2010

Polifemo

e tu nuda, nei lineamenti.. solo la musica nelle orecchie.. siamo profondi quanto l'intestino di un gigante.. polifemo ubriaco in una grotta affacciata sul mare guarda l'acqua pensando di essere un dio... allo specchio ci riflettiamo contro immagini di noi stessi distorte dalle nostre aspettative e speranze, per scovare il punto preciso dove si intersecano i meridiani e i paralleli, le linee guida dei nostri pensieri, le diagonali dei nostri desideri. trova le coordinate e io te lo prometto, scaverò. tra la pelle chiara macchiata dalle tue espressioni, lo sguardo disteso, i denti felici, le tende dei tuoi capelli, lentiggini solo poco accennate per dare riposo ai marinai, navigare da un occhio all'altro, scalare montagne e dislivelli, i bassipiani delle tue guancie, la pianura delle tue labbra; la pelle, tesa, del viso, cromata del colore di quando arrossisci volgendo la testa da un'altra parte. il modo curioso con cui cerchi di nascondere un sorriso quando vieni colta di sorpresa, da un complimento da una mano da un saluto, da uno sguardo.
urliamo per farci capire. ci voltiamo solo di tanto in tanto per guardarci, scambiarci opinioni. sbagliare. non è il caso di rimanere seduti. beviamo birre fino a farci svenire i sensi, dentro, come distaccati da tutto il resto, tenuti in equilibrio da fili invisibili che li legano sospesi tra lo stomaco, i polmoni, il fegato. i nostri organi a suonare musiche subliminali, tese tra la felicità e l'estraneità. il non sapere chi. il divertirsi anche quando. il nonostante tutto. il basta che. il basta e avanza.
ascolto storie di cui non conosco i protagonisti. vesto nomi con facce rosse piene di x di censura. nel frattempo vedo ancora la tua immagine, e non mi importa: dei lampi a illuminare il cielo; delle strade perse, chiuse, ritrovate; del ticchettare frenetico e costante delle lancette dell'orologio; dell'india, del giappone, di tutti quanti i paesi orientali; di quella porzione, ampia e scostante, di te che non conosco; del freddo pungente a ferirmi prima le mani, poi il petto, con lunghe lame affilate di vento gelido a soffiarmi sul collo dove non riesco a ripararmi con il colletto del giubbotto. dimentico i miei promemoria, lascio scappare via dal recinto i cavalli pazzi delle mie fantasie. li ho tenuti mansueti fino a ora sperando di poterli addomesticare; ma sbagliavo, in fondo proprio come ho fatto sedendomi, perché gli animali selvatici non sono fatti per essere rinchiusi. quando lo sono diventano cattivi, marciscono all'interno, inacidiscono insieme al sangue nelle vene, fino a scoppiare e far più danni di quanto non avrebbero fatto se lasciati liberi. la fantasia è una mandria furiosa di cavalli, non a caso si definisce galoppante. senti il rumore dei suoi zoccoli pestare forte il terreno, proprio qui accanto, alla mia sinistra, ancora una volta seduta, accucciata, buona.
quello di cui ho bisogno non sono cavalli, quanto piuttosto cani, da compagnia. quelli domestici che si sdraiano vicino alla poltrona dove leggo, che scodinzolano felici appena mi vedono. più reali. più veri.
apri il palco, tirando via le tende dei tuoi capelli. li passi con una mano portandoteli dietro la nuca. forse un po' imbarazzata. dici: prendimi. fai di me quello che vuoi. appena entrata in soggiorno ti vedo risplendere. niente addosso. sei limpida. non ridi, non piangi. tieni un'espressione decisa a voler arrivare fino in fondo. rimani in attesa di una mia risposta. ti guardo restando seduto, sbaglio ancora. perseverare è diabolico, mi pare di sentire. un'eco lontana. il diavolo, forse.
è così strano vederti senza scarpe. sei scalza, e gli occhi, i miei, vengono subito attratti dai tuoi piedi. non sono del tutto appoggiati a terra. si tengono un poco sulle punte, ma non troppo. tra il pavimento e il tallone passerebbe appena un foglio di giornale.
salgo sulle tue caviglie con lo sguardo. mi attorciglio attorno ai tuoi polpacci. divento stringhe di sandali a schiava fino ad arrivare proprio sotto le tue ginocchia. ti stanno bene, ti dico, anche se non si vede ancora niente, né io né loro.
mi guardi arrossendo un po'. è la prima reazione che lasci trapelare. in quel momento, preciso istante, mi avvento su di te, sulla tua vita, la afferro cingendola con un braccio, inginocchiato come sono ai tuoi piedi, poi l'altro. cintura. affondo la faccia dentro la tua pancia, annusandone l'odore. il tuo odore dentro le mie narici, sulla mia pelle, in quello spazio ristretto dove ho sempre amato trovarlo: tra il labbro superiore e il naso.
sento le tue dita annodarsi tra i capelli sulla mia nuca. spingono verso di te. con la mano destra scivolo verso l'alto fino alla tua scapola sinistra. siamo a specchio.
sospiri.
alzo gli occhi. vedo le mie unghie finire la loro corsa sulla tua spalla, sporgono un poco sopra la clavicola altrettanto sporgente. riflettono la tenue luce che illumina la stanza. tu reclini la testa all'indietro, alzando lo sguardo verso il soffitto. barcolli un po' indietreggiando. cerchi un appoggio. con una mano tenti di afferrare lo stipite della porta.
respiri sempre più velocemente. inspiri, espiri. inspiri, espiri.
io rimango abbracciato a te, intento a impastare baci sul tuo ventre. scavo con le labbra, inumidisco con la lingua, tutto attorno al tuo ombelico. sento caldo appena sotto il mento. inspiri espiri, inspiri espiri. la tua pelle come un cuscino mi schiaffeggia dolce con i suoi movimenti ad aprirsi e chiudersi, in su e in giù, accompagnando il ritmo del tuo braccare l'aria.
allunghi il collo, ti stiri verso l'alto. con movimento contrario io ti tiro giù. ne esce un effetto rallenty con il quale ci sdraiamo a terra, scomposti, uno sopra l'altra. inspiriespiri, inspiriespiri. nuoto su di te, con le mani, la bocca, gli occhi, fino ad arrivare a suon di carezze e sussurri speciali nell'incavo del tuo collo. lì affondo il colpo, lascio penetrare i miei canini nella tua carne, come farebbe un vampiro affamato di sangue. tu stridi un respiro più affilato verso l'esterno, facendolo passare attraverso i denti chiusi. gli occhi stretti in una smorfia che disegna il tuo piacere di un rosso acceso proprio nel centro del tuo petto. lo sterno ti si illumina fosforescente facendo intravedere i palpiti infuocati mulinare verso il basso. le tue gambe si muovono prima senza controllo, mosse da una scossa elettrica che scarichi sul mondo con sillabe acute, poi si attorcigliano sopra la mia schiena, stringendomi a te. non mi lasci andare via, mi leghi.
scivolo fino ad arrivare alla tua bocca e sulle tue labbra lascio cadere le mie labbra. due onde opposte si scontrano in zampilli di movimenti fugaci dove le nostre lingue cercano di trovare un ordine. il tuo affanno si mischia con il mio affanno, si mescola con la passione umida che ci ha portati a terra, trascinandoci uno sull'altra, a toccarci, baciarci, accarezzarci con violenta ferocia. stiamo andando a fuoco e cerchiamo in qualche modo di calmare le fiamme, farle appassire sotto una coperta. fino a quando una scintilla più potente, più forte, si insinua e si accende dentro il nostro inguine, diventato tutt'uno senza darci nessun preavviso. in quel momento un chiasso sinuoso esplode in lontananza. soltanto noi riusciamo a sentirlo: il suono di benvenuto che accoglie una galassia nuova appena nata.
guardiamo il soffitto, esausti. dio ha creato il mondo in sei giorni, il settimo si è riposato. noi abbiamo compresso tutto quanto in una serie forsennata di battiti, pompando il sangue più forte nelle vene fino quasi a rovinarcele. tornare alla normalità è faticoso, a volte fa pure male, vedere il proprio petto riprendere un ritmo tranquillo, gonfiarsi e sgonfiarsi con sempre meno frequenza.
poi le tue parole, senza il tuo sguardo.
mi piacerebbe passare più tempo con te, da sola. vorrei tu lo capissi sul serio, davvero. ma in certi momenti mi accorgo di non avere tempo, tempo materiale, per perdermi nei labirinti della tua mente.

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