mercoledì 24 novembre 2010

Posacenere

mi rimprovera che con il tempo ci posso fare qualsiasi cosa. non è la mancanza, quanto piuttosto il materiale di cui compongo il tempo. fai finta sia di pongo, mi dice. puoi modellarlo con le tue mani, farlo diventare una tazza da caffè - andiamo a prendere un caffè? e ci perdiamo nelle brevi passeggiate sotto la pioggia, quelle che ci accompagnano fino al bar più vicino, chiedere la nostra droga legale e iniziare a parlare. sai, faccio io, se non ne prendo almeno due al giorno mi vengono dei mal di testa terribili. crisi d'astinenza, rispondi tu. - oppure creare un vaso con il quale annaffiare i fiori - mentre il cameriere lavora con la macchinetta, ci da le spalle, noi ci sediamo sugli sgabelli. ti parlo di regali di compleanni, lasciando volare via le parole, nascondendo con esse il desiderio di regalare a te qualcosa, magari delle rose, delle scarlett carson ti donerei, in modo silenzioso. il corriere arriverebbe a casa tua di mattina, suonando il campanello mentre tu magari sei a fare colazione. aprendo la porta vedresti questo mazzo enorme di rose a nascondere il viso della persona che te le sta porgendo. sorrideresti, tu, e penseresti: per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno. - ogni cosa potresti fare, basta che tu sia abbastanza bravo a farla.
cosa intendi? gli domando.
il pongo è un materiale malleabile. ricordi quando all'asilo ci giocavamo quasi tutti i pomeriggi? per le feste, tipo la festa del papà, le suore ci facevano fare dei posacenere, o roba del genere. non importava quanto tu sbraitassi facendo notare che nostro padre non fumava affatto e che quindi un posacenere come regalo non era tanto per lui quanto piuttosto un regalo per qualche altro padre, uno qualsiasi che magari entrava a casa nostra. comunque, ci davano una confezione per uno, ci dicevano di bagnarlo un po' per renderlo morbido - il cameriere appoggia le tazzine sul bancone di fronte a noi. la mano gli si scioglie un po' lasciando colate di rosa acceso sui piattini. sembra cera caduta da una candela. quanto vorrei essere con te in una stanza al buio, con solo delle candele a illuminare l'ombra attorno a noi. - e ognuno di noi iniziava a modellarlo come meglio credeva. c'era chi ci appoggiava sopra una scatola e usava questa come stampo, per alzare i bordi del proprio posacenere in modo regolare, perpendicolari precisi alla base. chi invece provava a farlo rotondo, andando incontro a improbabili oggetti dalle forme geometriche non meglio definite. ricordo però che tu non avevi fatto niente di tutto questo. avevi preso la tua porzione di pongo, l'avevi fatta diventare un mattone spesso qualche centimetro, e poi ci avevi appoggiato la mano nel mezzo, spingendo verso il banco con tutta la tua forza. avevi preso un coltello di plastica, perché i coltelli veri all'asilo erano proibiti, così come le forbici con le punte non arrotondate, e tenendo sempre il palmo al centro del tuo pongo avevi tagliato via il materiale superfluo, formando in questo modo un ovale attorno alla tua mano. avevi fatto un posacenere con le tue impronte, un regalo personale, non uno dei tanti, uno fra i tanti, perso tra gli scaffali di un negozio, riprodotto in serie: un pezzo unico. - quando finisci di bere il tuo caffè lotto senza fare rumore con la voglia di accarezzarti. sento il braccio alzarsi verso il tuo viso, senza potere farci niente, anche se ho paura che tu non lo voglia, che un gesto del genere ti faccia arrabbiare. ma non ho la facoltà neppure di fermare il mio corpo. appoggio la mano destra sulla tua guancia sinistra e sento uno strano effetto bagnato sulle punte delle dita, sul lato interno delle falangi, liquido scorrere giù fino al polso. quando accarezzo leggero la tua pelle, facendo scivolare la mano verso il basso, il colore viene via come se non fosse fissato in profondità nell'epidermide quanto piuttosto soltanto appoggiato sopra. macchio la tua mandibola portandoci sopra il rossore che avevi appena sotto gli occhi, un po' di nero dei tuoi capelli. il tuo volto diventa un di quei dipinti dove l'artista non si preoccupa di rappresentare in modo perfetto la realtà, dove non vuole nascondere in tutti i modi la sua mano. il tuo viso si trasforma in un quadro sul quale i movimenti del pennello si notano ancora, uno a uno, dove i colori non sono perfettamente lisci, bensì un poco sporgenti, con lineamenti in rilievo. sono i quadri che preferisco. - tutti quei posacenere erano diversi, al di là di quanto tu avessi potuto fare per differenziare il tuo, per renderlo particolare. qualsiasi posacenere avresti preso a caso in quella classe sarebbe stato sicuramente unico, perché non avrebbe avuto la perfezione di quelli trovati nei negozi, ci sarebbe stato comunque un particolare sbagliato - tu non sembri esserti accorta di nulla. mi continui a guardare, con la faccia macchiata dalla mia carezza. il tempo pare essersi fermato. mi sembra di trovarmi dentro una fotografia, o dentro un film che è stato messo in pausa. ho la libertà di muovermi come più mi piace, di girare per vedere le facce delle altre persone dentro il bar, di controllare l'espressione del cameriere; ma tutti quanti sono dipinti in modo approssimativo, proprio come ho ridotto il tuo volto, i colori escono dai contorni, non si capisce bene dove finiscano le giacche e dove inizi l'aria. l'atmosfera attorno a noi si fonde con la gente, diventa un blocco unico di colore. io cerco di sistemarti la faccia, di arrotondarti le guancie in un sorriso, uno dei tuoi sorrisi così esplosivi. ti modello le sopracciglia in modo da far posto ai tuoi occhi, tento di ridipingerti nel modo perfetto in cui ti ricordo, nella bellezza del tuo essere te. ma per quanto mi affanni, per quanto provi e riprovi, spostando i colori da un lato all'altro del tuo viso, creando sfumature di volta in volta più precise, più dettagliate, non riesco mai farti tornare come eri prima: perfetta nei tuoi contorni. allunghi una mano verso di me, ma non a velocità normale, non come se il tempo si fosse rimesso a viaggiare, bensì al rallentatore, piano piano, per raggiungere la mia guancia ci metti un'eternità. non preoccuparti, dici in un arcobaleno di movimenti, se non rientro nei miei bordi forse è perché non ci sto mai dentro, perché fuoriesco di continuo. forse hai ragione, penso. perché contenerti tutta, oltre l'aspetto fisico, sei infinita, nei tuoi smussamenti interiori, le tue contraddizioni, gli incroci stradali della tua personalità, e gli incidenti, i tamponamenti dei pensieri, gli sbalzi d'umore, la felicità così come la rabbia, è davvero difficile. - non puoi pretendere di raggiungere la perfezione, di eguagliare i posacenere di chi fa per lavoro proprio il fare posacenere, sette giorni su sette, ventiquattr'ore su ventiquattro. puoi fare qualsiasi cosa, posacenere, tazze, vasi per fiori. il tempo ti permette di fare tutto, basta metterti al tavolo e concentrarti sul farlo bene, a prescindere dal risultato che otterrai. - mi dispiace, dico. per cosa? per non riuscirti mai a descriverti in un modo migliore, di farti bella come invece sei. ogni volta mi infrango contro i miei limiti. - basta che ti ricordi che non conta la perfezione. i prodotti fatti in serie sono sempre freddi, quelli artigianali invece contengono un calore tutto loro. l'importante è che tu faccia di tutto per creare il tuo oggetto al meglio delle tue possibilità, di usare il tempo nel miglior modo possibile. - ti voglio bene.

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