giovedì 2 dicembre 2010

Big Bang

ci hanno insegnato che tutto ebbe inizio con una grande esplosione dopo la quale l'universo iniziò a espandersi per coprire sempre più spazio, andando a riempire le periferie più remote del - del cosa? - del niente. è difficile definire un posto quando questo posto ancora non esiste. noi ci muoviamo in un ambiente dove esistono tre distinte dimensioni: altezza, larghezza, profondità; ma l'universo ha a che fare con grandezze talmente vaste che forse le dimensioni aumentano: altezza, larghezza, profondità, e spazio ancora non esplorato.
mattia torna a casa da una giornata piena di lavoro. è stanco, vorrebbe solo potersi sedere sul divano, accendere la televisione e lasciarsi trasportare lontano dall'inutilità delle notizie e dal sonno. sa però di non poterlo fare. prima di rientrare si è fermato a un supermercato. ha preso della verdura, un po' di carne, una confezione di tagliatelle ai funghi da riscaldare al microonde, una bottiglia di vino rosso, una confezione da sei lattine di birra, un succo di frutta. per riposarsi davvero deve prima svuotare la buste della spesa e mettere tutto quanto a posto, poi prepararsi la cena, mangiare, e solo dopo, ammettendo di lasciare la cucina in perfetto disordine, solo dopo potrà permettersi di sedersi o sdraiarsi sul divano.
decide di iniziare con la verdura: un cesto di insalata, qualche carota, un finocchio. prende i sacchetti del reparto fai da te, scelti, selezionati, pesati e prezzati, andando verso il frigorifero, dalla parte opposta rispetto alla porta d'ingresso; ma il frigorifero non c'è, non ancora. è vuoto, perciò non esiste. quando mattia ripone la roba nello spazio che dovrebbe essere occupato dal frigorifero, questo come per magia compare, aperto, con già al suo interno il sacchetto con l'insalata dentro, lo stesso sacchetto che mattia ha posizionato sul primo scaffale interno e che ha permesso al frigorifero di apparire.
il frigorifero è lo spazio non ancora esplorato, il nulla, un ritaglio di luogo non ancora luogo, la quarta dimensione. la verdura, o qualsiasi altra cosa mattia avrebbe potuto utilizzare, parti di universo che vanno a creare universo laddove l'universo ancora non è arrivato.
quindi c'è questa nebulosa indistinta di particelle in espansione. si allarga a macchia d'olio, in modo casuale, e nel farlo si creano pianeti, stelle, galassie, mondi sempre nuovi. all'inizio lo fa a ritmo vertiginoso, uno scatto che le permette di occupare gran parte del nulla attorno a sé in un tempo microscopico, neppure il battito veloce di un occhio. mentre stai chiudendo le palpebre già l'universo è arrivato a te, ti ha penetrato, ti ha superato e ti ha lasciato con un vago senso di calore, correndo via lontano per andare oltre. e tu ancora non hai finito di chiudere le palpebre. quando finisci e le riapri l'universo ti ha quasi doppiato, da quanto è veloce a espandersi. poi però questa velocità diminuisce, via via che il tempo passa. l'universo si trasforma in un centometrista che corre però una maratona: i primi metri li divora con il suo ritmo, ma quando la linea del traguardo non arriva le forze iniziano a farsi meno, si sente stanco, spossato. rallenta cercando di non fermarsi del tutto. se non corre verrà squalificato.
dopo essersi riscaldato al microonde la porzione di tagliatelle ai funghi, mattia prende la confezione in cartone e la getta nell'immondizia. ripone la forchetta con la quale ha mangiato dentro il lavello, senza preoccuparsi di lavarla o pulirla. ci penserà il giorno dopo, dice a se stesso. il suo unico obbiettivo è quello di sedersi sul divano, mettersi di tre quarti, appoggiare la testa sul bracciolo e finire poi per addormentarsi su di esso. non gli piace molto come soluzione, preferirebbe il letto, almeno per non doversi poi alzare di nuovo per andarci a passare la notte, ma al momento il letto sembra essere troppo lontano. è stanco, sfinito, ma non riesce a riposarsi.
prima ancora di sedersi sul divano suona il telefono. è un suo amico, francesco, che non sente da molto tempo. la sua voce sembra un po' turbata, parla a vanvera, del più e del meno, senza però parlare sul serio di niente. affronta mille argomenti ma non ne approfondisce uno. gli propone di vedersi per bere qualcosa e fare due chiacchiere, raccontarsi cosa è successo nel tempo in cui non si sono visti. mattia è stanco, non ce la fa neppure a muovere un dito, ma sentendo la voce di francesco non riesce a dire di no. risponde: certo che ci possiamo vedere, fingendo una felicità solo superficiale capace di nascondere la sua debolezza. fissano per una determinata ora a un bar che molto probabilmente ancora non esiste.
l'universo continua a correre, imperterrito, solo lo fa un po' più lentamente. all'inizio era la frenesia a spingerlo, la voglia di riempire tutto con tutto se stesso, ma poi una volta bruciata l'urgenza rimane la curiosità di vedere cosa si va a riempire. si prende il suo tempo, non brucia le tappe. per ogni centimetro di niente impiega del tempo relativamente interminabile prima di passarlo e affrontare il centimetro successivo. un giorno si fermerà, ma ancora non sappiamo se lo farà perché sarà stanco da morire o se avrà finito la maratona, se non ci sarà più altro spazio di niente da riempire.
nel bar dove mattia e francesco si ritrovano c'è una sala poco illuminata con un biliardo. da adolescenti ci giocavano spesso a biliardo, immersi nei fumi di sigarette e progetti inverosimili sul loro futuro. francesco è un po' confuso, pare avere perso i punti cardinali, non riuscire più a orientarsi. per cercare di distenderlo mattia propone una partita, in ricordo dei vecchi tempi. al bancone prendono due bottiglie di birra, se le fanno stappare, e sorseggiandole si dirigono verso il bigliardo. dopo una manciata di minuti durante i quali sia mattia che francesco non fanno altro che parlare, ridere, sorridere, bere, respirare, prendono in mano le stecche e posizionano le palle sul tavolo. mattia mette la palla bianca di fronte al triangolo composto dalle altre colorate, si china sul tavolo e colpisce con la stecca. spacca. le palle si sparpagliano sul tavolo, prima in modo veloce, poi sempre più lentamente. questo è l'universo. poi si fermano e mattia si mette a girare attorno al tavolo per osservare la posizione delle palle. questo è sempre l'universo.
qualcuno pensa che quando l'universo smetterà di allargarsi, di spingersi sempre oltre e oltre ancora, quest'ultimo si fermerà per un attimo, dopodiché comincerà a fare il percorso inverso, ovvero inizierà a rimpicciolirsi. sono solo teorie, ancora nessuno sa niente di preciso. prima di tornare però all'esplosione iniziale dovrà comunque passare molto molto tempo. l'universo si ritirerà come le acque di un fiume straripato che ritorna dentro gli argini.
quando mattia saluta francesco non ha capito molto bene cosa avesse per spingerlo a chiamarlo dopo un'eternità che non si vedevano. probabilmente aveva solo voglia di sfogarsi, parlare. a quel punto mattia non ha più sonno. prima di dirigersi verso casa decide di fare una passeggiata. è notte ormai. in giro non c'è più quasi nessuno. le strade sono illuminate dai lampioni che gettano sull'asfalto una strana luce arancione. dopo avere camminato per qualche minuto mattia si ferma, affonda le mani dentro le tasche del cappotto e si appoggia con la schiena contro il muro di una casa. guardando una finestra chiusa al primo piano del palazzo che gli sta di fronte si accende una sigaretta e comincia a pensare.
mattia sa che il suo frigorifero fa parte dell'universo in espansione, per questo prima di rientrare ha fatto la spesa: per poterlo riempire e farlo diventare reale, non vuoto, per investirlo in qualche modo con le acque dell'universo in espansione. sa anche che lo stesso movimento in avanti diventerà prima o poi un movimento contrario, spingendo l'universo a regredire. lo deduce sempre dal suo frigorifero, che appare, pieno, e scompare, non appena si svuota. poi riappare, per poi sparire di nuovo. una specie di respiro. mattia conosce la teoria del big bang, secondo la quale tutto quanto ha avuto inizio da una esplosione. lo ha studiato a scuola e a scuola ha imparato a dire: è vero, tutto è iniziato così. quello che si domanda, ora, fermo a guardare una finestra chiusa di una casa che è andato cercando con la scusa di una passeggiata, è questo: cosa c'era prima di questa grande esplosione? da cosa è scaturita questa detonazione? prima che l'universo iniziasse a espandersi, doveva essere in qualche modo qualcosa. è questo qualcosa che gli sfugge, che non riesce a catturare. se ce la facesse potrebbe cercare di capirlo, magari sezionandolo, o facendoci dei test. ma l'inizio dell'universo, come l'inizio di qualsiasi altra cosa, è un momento difficile da cogliere: succede e basta, capita e non te ne accorgi neppure. quando ti fermi un attimo a pensare è già troppo tardi, l'esplosione è già avvenuta, l'universo si sta già espandendo a una velocità tale che non ti permette di guardarti indietro. ciò che è stato prima dello scoppio è un puntino minuscolo indistinto che si perde tra le nebbie confuse di galassie infinite, anni luce oltre l'orizzonte dietro di te. per quanto ti possa sforzare aguzzando la vista, questo puntino è assai difficile da scorgere, immerso com'è in tutto quell'ammasso di stelle che si è venuto a creare un attimo dopo l'inizio di tutto. un attimo dopo, ma non quell'attimo. la verità è questa: quando inizia qualcosa di importante non te ne rendi mai conto, inizi solo a espanderti, ad allargarti, a esplorare lo spazio tutto intorno a te; ma l'inizio, quello vero, passa inosservato, e quando cerchi di ricordarlo, non ci riesci.
mattia questo lo sa. finisce la sigaretta, senza mai smettere di guardare la finestra chiusa del palazzo di fronte a sé, e poi inizia a camminare. casa sua è lontana. il divano lo aspetta. l'universo è in continua espansione, da miliardi di anni ormai, e cercare di vederne l'inizio è assai difficile.

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