lunedì 20 dicembre 2010

Oblio

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aveva dimostrato (la scienza) che la presenza di un osservatore condiziona qualunque processo e perciò come logica conseguenza che anche i particolari più insigificanti ed effimeri dell'allestimento di un test Operativo possono avere un impatto sui dati risultanti.

Non ci sono suoni, pur essendo una strada trafficata, e l’assenza di suoni è al tempo stesso spaventosa e realistica – anche gli incubi raccontati da tante altre persone di solito sono privi di sonoro, con qualcosa che ricorda il vetro spesso o l’acqua profonda e l’effetto di questi elementi sul suono.

Per non parlare del classico problema di come un dio che dovrebbe essere amorevole possa permettere una fine così terribile, un problema che si pone sempre quando le persone alle quali siamo legati soffrono o muoiono (al pari del conseguente rigurgito di sensi di colpa sull’ostilità sommersa che spesso proviamo verso la memoria dei genitori quando sono morti

il dott. G. avrebbe detto in seguito che tutto il fenomeno “mi è balenata davanti la mia intera esistenza” alla fin fine somigliava più alla cresta di un’onda sulla superficie dell’oceano, nel senso che soltanto nel momento in cui ti lasci andare e cominci a essere risucchiato ti rendi per davvero conto che c’è un oceano. Quando sei lì che ti lasci portare come un’onda parli e agisci come se sapessi di essere un’onda nell’oceano, ma in fondo non credi affatto che ci sia un oceano. È quasi impossibile crederlo. O come una foglia che non crede nell’albero di cui fa parte ecc. Ci sono mille modi per esprimerlo.

Il fatto è che siamo tutti soli, naturalmente. Lo sanno tutti, è quasi un cliché. Ecco dunque che con un altro strato della mia fondamentale impostura mi davo a intendere che la mia solitudine fosse speciale, che fosse unicamente colpa mia perché ero in qualche modo particolarmente disonesto e vuoto. Mentre non ha niente di speciale, ce l’abbiamo tutti. Poco, ma sicuro.

Beverly aveva un caratteraccio unito a una notevole potenza di fuoco, non conveniva farla incazzare. Disse di non aver mai sentito uno sguardo altrettanto penetrante, perspicace, eppure totalmente privo di partecipazione, come se lei per me fosse un enigma o un problema da risolvere. Disse che grazie al sottoscritto aveva scoperto la differenza fra essere penetrata e conosciuta per davvero di contro a penetrata e soltanto violentata – un ringraziamento sarcastico, non c’è che dire. In parte era solo per schermirsi emotivamente – trovava impossibile chiudere per davvero un rapporto senza aver prima tagliato tutti i ponti e detto cose così atroci da non lasciare possibilità di riconciliazione a ossessionarla o a impedirle di andare avanti per la sua strada. Nondimeno era andata a fondo, non ho mai dimenticato cosa scrisse in quella lettera.

essere disonesti ed essere incapaci di amare di fatto erano in ultima analisi la stessa cosa

Non so se la cosa ha senso. Cerco solo di presentartela da varie angolazioni, è sempre la stessa cosa. O potresti pensarla più come una certa configurazione luminosa anziché come una somma di parole o anche una serie di suoni, dopo. Il che in effetti è vero. O come la dimostrazione di un teorema – perché se una dimostrazione è valida lo è sempre e comunque, non solo quando ti capita di formularla.

Il suicidio è così contrario a tanti nostri istinti e impulsi programmati che nessuno sano di mente va fino in fondo senza passare attraverso una marea di oscillazioni interne, con fasi in cui per poco non cambia idea ecc.

Un indizio che c’è qualcosa di non proprio reale nel tempo consecutivo come viene da noi esperito sta nei vari paradossi del tempo che apparentemente passa e di un cosiddetto “presente” che si srotola sempre nel futuro creando sempre più passato alle sue spalle. Come se il presente fosse questa macchina – bella macchiano a proposito – e il passato la strada appena percorsa, e il futuro la strada illuminata che non abbiamo ancora raggiunto, e il tempo il movimento in avanti della macchina, e l’esatto presente il paraurti anteriore che fende la nebbia del futuro, sicché è ora e poi un attimo dopo un ora completamente diverso, ecc. Solo che se il tempo passa per davvero, a che velocità va? Con che ritmo cambia il presente? Visto? Perché se usiamo il tempo per misurare il moto o la velocità – come facciamo, non c’è altro modo – 95 miglia all’ora, 70 pulsazioni al minuto, ecc. – come dovremmo misurare la velocità con cui si muove il tempo? Secondo per secondo? Non ha senso. Come fai per parlare di tempo che fluisce o si muove vai subito a sbattere contro il paradosso.

La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo.

Poi, in una fase prevedibile benché di gran lunga più inquietante dell’ondata di smarrimento, c’era l’apparizione di una strana, statica, allucinatoria immagine o “inquadratura” mentale, “scena”, fata morgana o “visione” di un telefono pubblico in un aeroporto o della fila ordinata o “schiera” di telefono pubblici in una stazione ferroviaria di pendolari, che squillava. I viaggiatori procedono spediti lateralmente oltrepassando la file di telefono, alcuni portano o trascinano il bagaglio “a mano” e altri effetti personali, comminando o procedendo oltre spediti mentre il telefono, che rimane al centro della visuale della scena o immagine, continua a squillare, ininterrottamente, ma nessuno risponde, mentre nessuno degli altri telefono nella “schiera” di telefoni viene utilizzato e nessuno dei passeggeri aerei o dei pendolari se ne accorge né lancia anche solo un’occhiata al telefono che squilla, e la cosa a un tratto ha un che di incredibilmente “commovente” o toccante, o sconsolato, malinconico e perfino premonitore, un telefono pubblico che squilla all’infinito senza che nessuno risponda, e tutto questo sembra avvenire all’infinito e, per così dire, in “assenza del tempo”, ed è accompagnato da un odore di zafferano che non c’entra niente.

Il suo era il genere di pelle lattea infantile che bastava sfiorare per lasciare il segno.

L’unica cosa visibile al momento era il temporale che si abbatteva contro il parabrezza come una specie di autolavaggio forsennato

I rapporti tra pubblico e celebrità. La consapevolezza repressa del fatto che l’unica ragione per cui le persone comuni trovano le celebrità affascinati è che non sono esse stesse celebrità.

Quello che né Ellen Bactrian né altri a “Style” sapevano era che la capostagista aveva attraversato un periodo buio durante le scuole superiori in cui si faceva decine di taglietti nella pelle morbida all’interno della parte superiore delle braccia e poi spremeva il succo di limone liofilizzato sui tagli come penitenza per una lunga lista di manchevolezze personali, lista che aveva annotato quotidianamente nel suo diario in uno speciale codice numerico impossibile da decifrare a meno di non sapere esattamente in quale pagina della Campana di vetro era racchiusa la chiave dei numeri in codice. Quei giorni se li era ormai lasciati alle spalle, ma avevano comunque contribuito a fare della capostagista la persona che era.

È un dato di fatto che certe persone corrodono l’autostima di altre limitandosi semplicemente a essere chi e quello che sono.

David Foster Wallace

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