mercoledì 8 dicembre 2010

Risveglio

quanto belle e sensuali sono certe mattine d'autunno, quando ti svegli ancora stropicciato dentro le lenzuola, e il sole filtra tra le finestre chiuse, con una certa insistenza, quel tanto che basta per proiettare ombre distorte sul pavimento. il letto è ancora caldo dentro i tuoi contorni. il calore del tuo corpo ti avvolge in un abbraccio, e tu sorridi piano agli angoli della bocca, con gli occhi ancora chiusi. non dormi più ma non sei ancora del tutto sveglio. ti trovi in quel limbo morbido di sogni rappresi, dei ricordi facilmente influenzabili con la propria volontà, un luogo e un tempo dove tutto, proprio tutto, può succedere, dal fuoco al ghiaccio, dalla neve al gelo, il colore delle foglie cadute in tempi diversi, i laghi ghiacciati sui quali pattinare, gli ombrelloni aperti sulla spiaggia, i gelati ai gusti di crema vaniglia e nocciola, i sandali o le infradito, i piedi appoggiati sulle panchine di legno per riuscire ad abbracciarsi le ginocchia. gli scenari sono come tende tirate sulle finestre. il freddo fuori combatte contro il caldo del termosifone appena sotto il davanzale, fa condensa, bagna il vetro di piccole gocce d'acqua, tenere in rilievo. paiono le palline di quei giochi del luna park, quando da bambini giocavamo per qualche spicciolo, pensando che la sera non sconfinasse mai nella notte, e la notte fosse solo un terreno fertile per il sonno, rotolano verso il basso, andando a scontrarsi con altre perle d'acqua, oppure schivandole con movimenti rapidi, zig zag indecifrabili, l'imprevedibilità del loro percorso, lasciando dietro di sé scie bagnate destinate a fare la stessa fine.
fuori non piove, non fa freddo. c'è solo un tempo mite che pare non decidersi a sfociare nell'inverno, né rimanere ancora nell'estate. resta nella terra di nessuno, le mezze stagioni, quelle che non esistono più da un po'. ti rigiri ancora con la voce impastata da sbadigli che cerchi di trattenere, sia mai che il primo suono sia ancora ancorato al giorno prima, a gesta ormai passare. bisogna dimenticare tutto quanto, lasciarsi andare come un palloncino gonfiato a elio che scappa di mano a un bambino. non bisogno essere il bambino, perché lui rimane a terra e si lamenta, piange tutte le lacrime che in quel momento crede di possedere, per un palloncino comprato per quattro soldi, una cosa da niente, una sciocchezza. quando piangerà lacrime ben più dure, più spigolose, salate tanto quasi da bruciare nei solchi della pelle, formare canyon dei loro percorsi, quando piangerà per fatti assai più gravi, o pesanti, quando piangerà per ferite che gli altri non riusciranno a vedere e per le quali nessun dottore riuscirà a curarlo, quando piangerà tutte quelle lacrime che inconsciamente aveva messo da parte, in riserva per momenti per i quali non sapeva di attrezzarsi, non voleva, sperava di non, allora non si ricorderà neppure di quel palloncino sfuggitoli di mano durante una giornata d'autunno. perché è un fatto futile, si cancella con un soffio, o con un gelato alla crema, vaniglia, nocciola. non dobbiamo essere il bambino, dobbiamo essere il palloncino che vola via, si disperde nell'atmosfera, sempre con la testa fra le nuvole, senza appigli, dobbiamo scappare al vento, utilizzare le correnti, perderci sopra le città. i monumenti saranno i nostri punti cardinali, nuove destinazioni sempre in mente, mai fermarsi, posare i piedi a terra, sentire il suolo duro deciso pungerci la suola delle scarpe. saremo nudi e non ci stancheremo mai di viaggiare, sempre in movimento, mai una dimora fissa. fermarsi significherà diventare grezzi, irrigidirsi come pezzi di argilla ai quali sarà privato qualsiasi movimento. dobbiamo tenere i muscoli in allenamento, rinforzarci, sbattere le braccia come se fossero ali, come se noi fossimo farfalle e vivessimo molto più di un giorno. pisceremo addosso ai nostri nemici, guardandoli dall'alto senza che loro riescano a vederci, imprecheranno per avere lasciato a casa l'ombrello, si lamenteranno della pioggia, del brutto tempo, diranno governo ladro ma poi continueranno sempre a votare per la stessa merda. invece noi saremo lontani da tutti i loro problemi, saremo esenti da tasse e da malumori. ogni notte faremo l'amore con gli angeli e scoperemo da dio facendoli gridare di piacere in lampi tuoni e fulmini che illumineranno di frastuoni gioiosi il cielo scuro. ci delizieremo di novelle storie raccontate bene, alla perfezione, quelle dove ogni singola parola risuona di un'armoniosa essenzialità, il bisogno fisico, viscerale che quell'ammasso non di stelle ma di lettere vadano a occupare proprio quel preciso punto della frase, mai in eccesso mai in difetto. visiteremo i posti che hanno creato il mondo come oggi lo conosciamo, quello civile che molto spesso si confonde con quello incivile, ma anche quello deserto dove nessun essere animale si azzarda a mettere piede, dove l'unico appiglio di vita è pura e semplice immaginazione, dove saremo solo e soltanto noi a guardarci negli occhi per vederci disegnati sulle pupille dell'altro. ci bagneremo di galassie luminose, vortici splendenti dentro i quali verremo risucchiati dalle forze di gravità che tengono in equilibrio i pianeti. la via lattea, le stelle cosmiche, andromeda e le costellazioni tutte.
poi infine ti svegli del tutto assaggiando l'aria tiepida della mattina. sei ancora tutto intorpidito, le ossa fragili, cartilagini come cartapesta. ti svegli aprendo bene gli occhi, tiri un sospiro per raccogliere il primo respiro della giornata. ti alzi in piedi, stirandoti verso l'alto. ogni movimento brucia energie, ti porta da un posto all'altro ma con fatica, seppur microscopica.
ti guardi allo specchio stanco, stravolto, confuso tra le occhiaie scure della sera precedente, e ti accorgi di avere smesso di sognare, se non per sempre almeno per questo giorno.

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