mercoledì 29 dicembre 2010

Jack

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Il programma al-telefono-con-papà era un disastro. Mi teneva a parlare all’infinito, e anche se c’erano un sacco di cose da dirgli, magari persino da urlargli contro, in fondo avevo solo una cornetta bianca in mano. Camminavo avanti e indietro in cucina, avvolgendomi attorno il filo, aprendo e chiudendo ogni cosa – i mobiletti, il frigorifero, il barattolo di biscotti. Sentivo che lui cercava di tirarmi fuori le parole. Ma un telefono non era come un padre.

Ci sono persone che passano la vita a cercare di capire come essere felici.

“Ti va un dolce?” ha chiesto Bob. “C’è della torta di carote.”
Ora, siamo seri, la torta di carote secondo voi è un dolce? Non penso proprio. Cioè, non è male, ma volete mettere con una coppa di gelato alla vaniglia ricoperta di cioccolato fuso e una bella ciliegina in cima? Se uno ha in casa la torta di carote dovrebbe chiedere semplicemente: Ti va un po’ di torta di carote? Invece di crearti delle aspettative.

Le ragazze hanno la tremenda abitudine di ridurre la mia capacità oratoria a quella di un neonato. Mamma, pappa, sesso, sesso, è più o meno la portata del mio vocabolario. Mi rendo conto di essere totalmente inadeguato ai rapporti sociali, ma si spera che passi, prima o poi. Cioè si spera che crescendo sarà meno come sono ora. Si spera che da grande non diventerà un maniaco.

“Ho paura,” ha detto, guardando fuori dalla finestra senza vetri verso il retro della casa dei suoi. “Ho paura, “ ha ripetuto, più forte, come se pensasse che non l’avevo sentito la prima volta.
“Anche io.” Mi ha guardato come se mi fossi trasformato da ragazzo in elefante e poi di nuovo in ragazzo. “Abbiamo tutti paura.” Me lo sono stretto forte al petto. E poi mi è dispiaciuto essere stato così onesto, perché Sammy era solo un bambino. “Vedrai che si risolve tutto.”

“Le cose possono andare avanti per un sacco di tempo, senza che nessuno se ne accorga. Poi si scopre qualcosa, e sembra improvviso, ma in realtà non lo è per niente.”

Le feste di compleanno mi infastidiscono da morire. Sono una di quelle cose in cui sei obbligato a esser felice. E anche se sei completamente depresso, devi fare finta che sei felice di essere nato, senza tener conto del fatto che crescere significa avvicinarsi alla morte.

Quando se ne è andata morivo dalla voglia di andarmene con lei.
“Ci vediamo domani,” ha detto, salutandomi con la mano. E avevo la sensazione che il domani non sarebbe mai arrivato.

Il fatto è che quando compi sedici anni, non ne hai più quindici. Non c’è modo di sfuggire al fatto che stai crescendo, che probabilmente sotto le ascelle hai già tutti i peli che avrai nella vita, e così via. Me ne andavo in giro ossessionato dal dubbio: dimostravo sedici anni o no? E sono arrivato alla conclusione ch per certi versi ho sedici, diciassette, diciotto anni, ma che sono anche molto simile a un dodicenne.
Quello che sto cercando di dire è che il mio concetto di divertimento è uguale identico a quello che avevo da bambino, solo che sta diventando più difficile riuscire a metterlo in pratica. E mentre riflettevo su tutte queste cose avevo il pensiero ricorrente che in quel momento più che mai ero incastrato tra due mondi. Incastrato tra essere bambino ed essere adulto. Le cose che si fanno da piccoli non sono poi così divertenti, ma quelle che fanno gli adulti sembrano ancora troppo difficili e, per essere sinceri, una noia mortale.

Grazie è una parola meravigliosa perché puoi dirla anche quando non lo pensi davvero e di solito la gente non si accorge della differenza.

Ho pensato a come tutti mi avevano sempre detto che potevo diventare qualsiasi cosa desiderassi, che mi sarebbe bastato decidere cos’era e metter mici d’impegno. Era la parte del metter mici d’impegno che stavo appena cominciando a capire. Io ci avevo sempre creduto. Mi piaceva l’ida di poter essere qualsiasi cosa, che dovevo essere me stesso e non quello che qualcun altro pensava dovessi essere.
Ma proprio in quel momento, mentre passeggiavo con Max e Maggie, mi sono reso conto che dipendeva tutto da me, che la cosa che sceglievo poi la dovevo fare, e decidere era la parte più semplice. Cioè, mi sono reso conto che dovevo proprio prendere e farla, qualunque cosa fosse.

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